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(pag. 13)

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(pag. 14)
INTERVISTA A TONI NEGRI - 13 LUGLIO 2000
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Qual è stato il tuo percorso di formazione politica e culturale? Ci sono state persone e figure che hanno avuto una particolare importanza in tale percorso?

Io vengo da un'esperienza assai specifica che è quella di una famiglia laica nel Veneto, una famiglia di origini emiliano-lombarde, mia madre è mantovana e mio padre è bolognese, piccoli proprietari terrieri fascisti la famiglia di mia madre e comunisti quella di mio padre, famiglia di operai. Mio padre è morto quando avevo due anni, era un comunista che era stato perseguitato a lungo per questa tradizione, mia madre era praticamente neutrale dal punto di vista politico; la tradizione comunista me l'ha insegnata mio nonno con il quale ho vissuto parecchio a Bologna. Dopo di che ero un bravissimo studente, e nel Veneto degli anni '40 e '50 praticamente trovai (ma piuttosto tardi, intorno alla maturità, in seconda liceo credo) in un gruppo di amici che erano più o meno cattolici un'apertura di sinistra, perché in realtà né il Partito Comunista, un po' più il Partito Socialista esistevano a Padova, avevano una bassissima rilevanza dal punto di vista culturale all'interno dell'università, e io cominciai allora, alla fine del liceo, vissuto in questo liceo padovano, a parlare di politica con questi compagni, che erano cattolici di sinistra assai radicali. Forse perché ero un ragazzo intelligente, scolasticamente molto produttivo, forse perché ero diverso nel senso che non avevo alcuna prevenzione, mi ritrovai promosso immediatamente alla direzione nazionale della Gioventù Italiana dell'Azione Cattolica, nella quale trovai uno stranissimo gruppo di persone che facevano capo alla presidenza di Mario Rossi e in cui c'erano Umberto Eco, Emanuele Colombo (di Milano, credo che sia ancora il presidente della televisione Montecarlo) e via di questo passo. C'era in particolare un prete molto bravo, si chiama don Arturo Paoli, era un po' quello che gestiva tutta la faccenda, su posizioni estremamente di sinistra, di rottura con quel mondo cattolico che era quello di Pio XII, di Gedda, cioè un mondo evidentemente reazionario da far paura. Noi sostenevamo la dissoluzione della Gioventù Italiana dell'Azione Cattolica e la formazione, alla francese, di tre grosse sezioni, una di operai, una di studenti e un'altra di contadini, sostenendo che la grazia di stato era diversa nei vari casi: se uno era operaio avrebbe dovuto avere una predisposizione divina ad agire bene diversa dal fatto che era un contadino, nell'unità e nella grande comunità dei fini evidentemente. Di fatto ci espulsero dopo due anni, avevamo dato un notevole rilancio a questa Gioventù Italiana dell'Azione Cattolica.
Io nel frattempo avevo cominciato a viaggiare molto, in maniera abbastanza raminga, in autostop, fondamentalmente in Europa; andai in Israele un anno, nel '54-'55, quello fu per me un momento di grande educazione politica, perché vissi in un kibbutz comunista. In realtà di marxismo non sapevo praticamente nulla, mentre vissi invece sia queste pratiche cattoliche sia poi queste pratiche comuniste radicali del kibbutz, ero in un kibbutz dove non esisteva famiglia, non esisteva nulla, veramente esistevano sola la comunità e il lavoro. Io ho vissuto per un lungo periodo lì, poi sono tornato in Italia e fondamentalmente sono andato su e giù tra l'Italia, la Francia, la Germania e l'Inghilterra per due o tre anni, fino a che non mi sono laureato. Devo dire che se parlo dei miei maestri allora parlo ad esempio di questo formidabile matematico con cui ho vissuto in kibbutz, Suzy, che era un comunista egiziano il quale era stato in galera a lungo sotto Nagib, era stato liberato all'arrivo di Nasser ed era venuto lì, era un laureato di Cambridge; c'era poi un compagno bravissimo che era un assistente di Bloch a Tubinga. In Italia posso citare questo don Arturo Paoli ad esempio, che poi è stato espulso, faceva l'assistente degli immigrati quando andavano su e giù con le navi, poi lui è diventato piccolo fratello di padre Foucault ed è stato a lungo a lavorare nel porto di Algeri come docker; adesso è saltato fuori nei giornali e mi ha fatto un colpo strano perché è stato riconosciuto come uno degli amici di Israele perché aveva salvato degli ebrei durante la guerra, quando era giovanissimo e stava a Lucca, dunque sono venuti fuori questi grandi articoli. All'università ho conosciuto un po' tutti ma senza legarmi a nulla, quando ne sono uscito ero praticamente un lukàcsiano. Ho fatto una tesi sullo storicismo tedesco che è stata poi pubblicata in parte da Feltrinelli subito dopo, nel '58 (non c'era ancora la casa editrice, era l'Istituto Feltrinelli), era un pezzo, la prima metà della tesi su Dilthey, Meinecke, gli storici; ne avevo un'altra parte che non ho mai pubblicato (e chissà, un giorno o l'altro forse riprenderò su) su Weber e Troeltsch. Contemporaneamente, appena laureato (e qui in effetti cominciano i maestri) ho vinto il concorso all'Istituto Italiano per gli Studi Storici a Napoli, il quale era diretto da Chabod, e lì ho avuto il primo grosso contatto con una grande personalità scientifica; in più c'era un giro di colleghi e di gente che erano assai bravi e con i quali poi ho mantenuto amicizia. Insomma, con Chabod è stato un primo grosso contatto, soprattutto per capire che cosa era effettivamente il politico.

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