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INTERVISTA A TONI NEGRI - 13 LUGLIO 2000

Qual è il tuo giudizio e la tua valutazione politica delle varie posizioni che si sono confrontate all'interno di Classe Operaia?

A me sembra che tutti quanti siano un po' diventati scemi con la vecchiaia, forse anch'io. Mi pare che ci sia una ricerca di purezza e di innocenza in quel periodo, per cui ci sono quelli che sostengono che loro alla lotta armata non ci hanno mai pensato, altri che dicono che invece non bisognava entrarci dal principio nel Partito Comunista e smetterla di fare i furbi: queste sono tutte cose che non c'entrano nulla con quella che era la discussione di allora, che cercava una linea politica operaia, senza trovarla, e da questo punto di vista Tronti era molto lucido, però era veramente il pessimismo della ragione. Era molto lucido perché diceva: "Qui non esiste possibilità di lotta operaia", e man mano questa lotta operaia, questa lotta di classe che doveva approfondirsi lui non la vede altro che come un momento di impatto, di scontro sul partito. E su questo dico che ha ragione dal suo punto di vista, con il piccolo torto che ha che non prevede, non sente, non ha fiducia sul fatto che l'intero sistema era a un punto di crisi e che la pressione operaia esercitata non solo sul regime del salario ma in generale sull'insieme delle strutture che governano la riproduzione sociale va in crisi, e che qui non si aspettavano minimamente una generalizzazione delle lotte come il '67 e il '68 rivelano. Questi non avevano comprensione della fabbrica per capire che quel tipo di produzione non si poteva più tenere: il taylorismo è in crisi, noi registriamo già una situazione di questo tipo a partire dai primi anni '60. In Italia, lo sappiamo benissimo, il taylorismo nasce negli anni '20 come forma generale egemonica di produzione, però in Italia viene imposto a un certo momento, alla metà, alla fine della ricostruzione, ed è già in crisi sul livello mondiale e soprattutto non può reggere queste ondate di lotta operaia che gli si rovesciano addosso, dal '48, al '53, al '63, al '67, bum, scoppia. In più non può sostenere la mobilità, nord-sud, sud-nord, diventa anche quello un fatto di rottura. Ci sono questi fenomeni enormi, Tronti e quegli altri non capiscono assolutamente niente su questo, ma secondo me neanche Alquati, il quale poi non lo capisce neanche dopo. Lì c'è questo fenomeno enorme che è il cambiamento di paradigma industriale che noi ci giochiamo interamente in quegli anni. Qui è inutile fare i furbi e dire "il lavoro immateriale, il lavoro materiale, ce n'è più di uno, ce n'è più di un altro": lì cambia il modello, in cui le proporzioni di quanto ci metti di mano e di muscoli e quanto ci metti di testa nel lavoro cambiano radicalmente. E chi non l'ha capito allora non l'ha più capito. Sia nel Veneto che in Emilia noi abbiamo fondamentalmente avuto la fortuna di aver avuto due fabbriche grosse, noi lavoravamo al Petrolchimico di Marghera e di Ferrara. Devo dire che lì c'è per me questo personaggio (uno di quelli di formazione) che è Guido Bianchini, un personaggio incredibile, che ha sempre avuto un culto enorme per Romano Alquati, perché è lui che poi ha curato gli scritti e si sa benissimo che mettere le mani sugli scritti di Alquati è dura: io è una cosa che ho fatto per anni, rovinandomi il fegato e poi essendo insultato da lui ogni volta dopo aver sistemato e reso leggibili le cose, io lo mandavo a quel paese e tutto finiva bene. Ma Bianchini, poverino, veramente lo adorava, ed era un uomo di una grande intelligenza nell'analisi di fabbrica: era uno che aveva fatto il sindacalista da piccolo, poi si era messo a studiare e a lavorare, era un uomo estremamente intelligente, con contatti molto diffusi, larghi.
Per quanto riguarda lo scontro che avviene in Classe Operaia le cose vanno in questi termini. Si era in una situazione di lotte che si diffondono, dopo il gatto selvaggio, quello che è successo a Torino, dopo quello che è successo al Petrolchimico, ci sono lotte molto grosse a Genova, a Trieste, tutte praticamente fuori dal controllo sindacale, si ha questa impressione netta dell'aprirsi di una fase di lotta; all'interno di questa fase c'è chi spinge per un'organizzazione propria e chi spinge per un'organizzazione propria che stabilisca un rapporto con il partito. Quindi, sull'organizzazione propria si è d'accordo, sull'organizzazione propria che abbia un rapporto con il partito si è in rottura. Si tentano momenti di generalizzazione delle lotte a livello nazionale, cioè su alcune grosse situazioni: non si riesce a farlo, a quel punto lì quelli che ritenevano di dover stabilire un rapporto più forte con il partito traggono le conclusioni. C'è di mezzo una situazione nella quale non si riesce a generalizzare la lotta, anche se si spinge, perché, per esempio, a Marghera, anche se in quel periodo non si riescono a fare grosse lotte, si mantiene comunque un livello di conflittualità maledettamente alto; a Torino, però, la cosa va abbastanza sotto, tentiamo in maniera molto pesante a Genova, tentiamo a Piombino, a Firenze, ma praticamente la cosa non funziona proprio, il diventare piccoli strumenti di generalizzazione di lotte non funziona. Poi la situazione politica ormai vede il PCI spostarsi decisamente a destra, e non c'è modo di trattenerlo in questa fuga che comincia allora e che non è più finita, adesso è più a destra della destra, siamo alla follia. Insisto ancora sul fatto che sia in quelli che vogliono l'immediata generalizzazione delle lotte (da questo punto di vista c'era un po' di spontaneismo), sia in quelli che vogliono l'immediato riferimento al partito in ogni caso c'è un'insufficiente considerazione di quello che è il rapporto tra la fabbrica e il sociale, quello che ci sta attorno. Perché in realtà quello che stava maturando, più che in fabbrica maturava fuori, era questa insofferenza generale del regime industriale, nel Veneto indubbiamente e profondamente legato a quella che era la recente industrializzazione, ma anche altrove: c'era ormai l'insopportabilità dei fenomeni di emigrazione così come si erano vissuti, Torino è una città da impazzire in quel periodo. Quindi, il dibattito all'interno di Classe Operaia trova forme estranee e poi di assenza: ad esempio ad un certo momento c'è l'infatuazione di alcuni per Socialisme ou Barbarie, che c'era alle origini ma poi viene ripreso, o l'entrata in gioco indubbiamente di elementi presituazionisti; non parlo tanto di cose culturalmente definite, quanto di stati proprio di sensibilità.

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