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INTERVISTA A TONI NEGRI - 13 LUGLIO 2000

Praticamente il movimento muore sul problema da cui era partito: era cominciato con la speranza che la classe potesse investire il partito e finisce nella convinzione che questo non era possibile, che quindi in realtà bisognava usare le due corsie, quella dell'avanguardia e quella del movimento di massa, e questo diventa distruttivo, noi siamo sconfitti su questo. E poi siamo sconfitti anche da quella che è stata la forza del nostro radicamento, e anche questo è il paradosso se si vuole: la forza del nostro radicamento era appunto determinata dalla presenza, si pensi alle 50.000, 100.000 persone che riuscivi a mettere in piedi, dei semplici militanti, a Milano e a Roma, era una cosa enorme, in più i soli militanti. In più avevi però questo radicamento sociale nei quartieri, ci sono stati momenti nei quali nelle città era effettivamente una cosa assolutamente impressionante, io parlo di Milano perché in quel periodo ci stavo, ma la stessa cosa potrei dire del Veneto e a Roma ogni tanto lo vedevo. D'altra parte c'era continuità, sia la continuità che il radicamento alla fine sono stati fenomeni che hanno rappresentato l'isolamento, in Europa eravamo ormai soli, in Francia il movimento era finito da lungo tempo; e tutto questo ha determinato una situazione pazzesca di pura repressione laddove negli altri paesi europei proprio la brevità del movimento aveva in fondo permesso il suo riassorbimento in una modernizzazione più ampia del sociale che comunque apriva possibilità reali di sviluppo, mentre invece in Italia ci hanno buttato dentro, e poi oltretutto l'hanno pagata anche loro perché alla fin fine guarda dove sono finiti, hanno dovuto affidare il paese a Craxi prima e poi c'è stata questa totale mancanza di ricambio politico, di capacità di seguire o di inseguire la modernizzazione che è stata per loro una cosa spaventosa.


Come analizzi oggi le categorie di spontaneità e organizzazione? Al di là del confronto dinamico con il contesto reale, è cambiato nel tempo il tuo rapporto con queste due categorie? Come è cambiato? Oggi scriveresti ancora "33 lezioni su Lenin"? Se sì, come le riscriveresti?

Non credo che le scriverei ancora, "33 lezioni su Lenin" erano legate veramente a quel periodo: il modello di organizzazione che di lì veniva fuori era quello in realtà del partito del fordismo vincente, di una classe operaia. Oggi il problema è diventato assolutamente diverso. Oggi come le riscriverei? E' questo il problema semmai. E' proprio il problema rispetto al quale, per esempio, c'è un vuoto assoluto nell'ultimo libro sull'impero. Nell'"Impero" c'è in fondo l'identificazione di quelli che sono i processi tendenziali, la modificazione dell'accumulazione capitalistica non è semplicemente che il capitalismo è diventato mondiale, questa è una cagata: c'è un ordine biopolitico che si è stabilito sul livello globale e delle forme di organizzazione capitalistiche che vanno istituendosi, all'interno di questo è saltato tutto. Questa storia dell'organizzazione è evidentemente il grande buco nero: in una situazione nella quale con tutta probabilità ci saranno ancora cicli di lotta ma non si vedono, quello che è sicuro è che il ciclo di lotte operaie che noi conoscevamo nel fordismo è saltato. Oggi abbiamo dimensioni della produzione che sono diventate infinitamente più ampie sia ovviamente dal punto di vista globale che dal punto di vista della socializzazione di questo modo di produzione; abbiamo d'altra parte appunto questa flessibilità e mobilità che diventano flessibilità e mobilità anche del ciclo economico, nella misura in cui questo è proiettato sui beni finanziari. Quindi, siamo in una situazione in cui l'analisi deve essere riaperta su questi punti. Resta il fatto che la cosa paradossale malgrado tutto è che questa straordinaria vittoria operaia c'è stata: la mondializzazione, la globalizzazione è la vittoria reale. Nella globalizzazione un'altra vittoria reale è il fatto che sono finite le forme dittatoriali del socialismo, le transizioni che bloccavano proprio la capacità di sviluppo della forza operaia, la mistificavano, la tradivano. Poi è aumentato in maniera enorme il livello dei bisogni, la capacità produttiva legata ai bisogni, ai desideri: questa è una grande vittoria, il capitalismo deve regolarsi oggi su questo nuovo livello e non è detto che ce la faccia. In questa situazione ci sono appunto questi movimenti esodanti di popolazioni che sono forse la cosa più interessante che può darsi, alla quale collegare con tutta probabilità movimenti di lotta, e ci sono le nuove dimensioni dell'immaterialità che diventano sempre più importanti. Tutto questo non significa assolutamente che lo sfruttamento non avvenga più sui settori più poveri della forza-lavoro, però è anche vero che ormai dovremmo cominciare a configurare dei blocchi di soggettività che vanno molto al di là di quella che è la vecchia considerazione della classe operaia. Quindi, non so assolutamente, ci sto lavorando, perché il secondo volume di "Impero" dovrebbe essere su questo, cioè cosa vuol dire moltitudine, cosa vuol dire corpi della moltitudine, cosa vuol dire la moltitudine o no come corpo: qui si tratta veramente di ritematizzare la scienza politica, e la scienza politica eversiva o sovversiva, in maniera assolutamente radicale.

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