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INTERVISTA A YANN MOULIER BOUTANG - 7 LUGLIO 2001


Avevi fatto in particolare una relazione sulla composizione di classe.


Composizione, ricomposizione, le questioni della soggettività, il perché questo movimento si era spaccato dentro la soggettività oggettiva di Tronti, che è un po' un bernsteinismo dell'operaismo, e la soggettività esasperata di Negri che è l'opposto. Però, ambedue non ci portano nella politica: quella di Negri è più produttiva, mentre ho letto quello che Tronti ha scritto per la recente prefazione di "Operai e capitale" che è apparsa a Madrid quest'anno e mi sembra che il discorso sia meno preciso, molto più allargato e molto più vago. Dall'altra parte in "Empire" di Negri e Hardt, che è un libro importante, sulla parte propriamente programmatica mi sembra che manchino delle mediazioni, manca ricchezza di proposizione ecc., oltre al reddito garantito, la cittadinanza universale, non c'è gran cosa come proposta strategica, specialmente sull'Europa e altre questioni. Dunque, il problema di come trattare non tanto la fine del lavoro ma la fine di un certo tipo di movimento operaio, era legato alla questione delle migrazioni, del culturalismo, del multiculturalismo, di tutti questi nodi; in questo senso ho cominciato a trattare il problema dei diritti, dei diritti civili, degli statuti, come base fondamentale per capire molte cose, specialmente per capire il movimento di liberazione. Cioè, il movimento di liberazione è interno alla questione dello sfruttamento: non esiste lo sfruttamento che non sia movimento contrario, di liberazione della gente, perché questa è sempre liberazione rispetto a un certo status giuridico. E su questa cosa, prendendo le questioni delle migrazioni, ho tirato un filo rosso che mi ha portato alla schiavitù. E' per questo che ho fatto il libro "De l'esclavage au salariat" e adesso stiamo lavorando sulla questione: esiste una soggettività nella fuga, esiste quel tipo di organizzazione della fuga, esiste una soggettività dell'exit, e non una soggettività del voice. Ciò è importante, perché mi ricordo che quello che mi piaceva del partito invisibile di Mirafiori non era naturalmente il partito ma piuttosto l'invisibilità. Allora, esiste questa cosa, come si può configurare, e a quel punto c'è l'esperienza della prima classe operaia di fatto, perché gli schiavi neri della piantagione sono stati la prima classe operaia. C'è naturalmente forzatura in questo, ma lo penso veramente: l'ingovernabilità della piantagione e delle prime forme del lavoro dipendente, salariato non libero direi, è stato talmente forte che ha prodotto il ciclo tecnologico che ha permesso l'inserimento di tutti quei poveri che durante il XVI, XVII e XVIII secolo non è stato possibile mettere in fabbrica, cioè l'addomesticamento e la disciplinarizzazione è stata possibile nell'Europa, nel centro del capitalismo industriale, solo perché c'era stata questa esperienza delle lotte prima, nel primo capitalismo. Dunque, in quella transizione tutti i limiti pesanti del movimento operaio sono dovuti probabilmente a questa spaccatura, il fatto cioè che la classe operaia non ha avuto la memoria dei poveri e di essere stata nera prima di essere stata bianca. Questo è importante quando torniamo all'oggi, al passaggio al terzo capitalismo, perché per me è chiaro che striamo vivendo un'epoca di questo tipo: il liberalismo, come già nella nascita del capitalismo industriale, non è il nemico fondamentale, in quanto è un'ideologia della transizione, non è un regime. E' un'ideologia della transizione che segna, con questa ipermercatizzazione del mondo, la ricerca da parte capitalistica di nuovi centri di controllo, di nuove strutture e anche probabilmente del capire quello che sta accadendo. E' ciò che io chiamo la carta delle esternalità, positiva o negativa, all'interno del sistema dell'economia-mondo, in cui il capitale sta cercando di vedere come controllare le fughe del sistema. Dunque, in questo periodo si apre uno sfasamento della vecchia cultura della classe operaia, del lavoro salariato classico, e si apre una stranissima battaglia delle new enclosures, e riconfigurazione totale del potere. Per me l'impero americano ha avuto un apogeo, quello del crollo dell'Unione Sovietica, la riunificazione tedesca, la guerra del Golfo fino alla guerra del Kosovo; ma quest'ultima non è il segno della potenza massima della Nato, è l'inizio del declino, perché questa guerra è stata fatta dagli americani ma loro non volevano farla all'inizio, è stata un'invenzione dei Fischer e il reinserimento della Germania all'interno del gioco, il terzo polo del tripode di cui parlavo prima. E' stranissimo perché nessuno l'ha visto e notato: c'è stato un incontro molto simbolico in Africa tra i rappresentanti francesi e inglesi per mettere fine all'antica e bisecolare lotta d'influenza in quel continente, per riprendere la cosa dagli americani, perché questi andavano facendo nell'Africa centrale un casino quasi genocidiario.

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