>Home >Interviste
>Home page
>Interviste
>Riviste
>Bibliografia
>Il dibattito oggi
>Ricerca sul femminismo

> Percorso di formazione politica e culturale
(pag. 1)

> Relazione sulla composizione di classe
(pag. 7)

> Ipotesi sull'operaismo
(pag. 10)

> Autori e figure di riferimento nel dibattito oggi
(pag. 12)
INTERVISTA A YANN MOULIER BOUTANG - 7 LUGLIO 2001


Dunque, non condividevo tutta quella parte un po' "piperniana" di Potere Operaio, anche se erano compagni molto simpatici: noi dalla Francia vedevamo il limite di questa impostazione, queste fasi iperleniniste io non le condividevo perché venivo da un'esperienza anche teorica dell'ultra-gauche, dunque estremamente contraria a quel tipo di forzatura. Ma d'altra parte io direi che era la più bella esemplificazione teorica del progetto di partito, il che è triste, avrebbe dovuto esserci questa teorizzazione negli anni '20, quando non esisteva e lì avrebbe potuto essere molto interessante, però a quel punto era la nottola di Minerva. Dunque, c'è tutta questa storia, i quadri di Potere Operaio si chiedevano se la vicenda del '17 era un accidente, un miracolo, cosa che si trova anche in Tronti, ossia il fatto che la rivoluzione come concetto scientifico non esiste. Di fatto a livello francese non era tanto politica, era una formazione, era l'incontro con alcuni compagni, anche francesi, formazione di gente molto isolata e molto dubbiosa sulla situazione francese, sul tipo di avvenire dei gruppetti.
Dal '73 in poi, fino al '76-'77, si è scatenata la crisi del gruppismo dell'estrema sinistra, un po' dappertutto; in Italia, con la scissione di PO a Rosolina, ma anche in Francia dove le cose sono avvenute prima: il '68 prima del '69, la crisi dei gruppi, di qualsiasi gruppo, prima dell'Italia. Forse gli italiani hanno pensato di essere più intelligenti (il che era vero), più formati, più sofisticati dei francesi, che erano un po' pratici; però, di fatto si è rivelata essere la stessa crisi, come ha dimostrato il '77. Questo avrebbe potuto essere un dramma o una depressione, cosa che è effettivamente avvenuta in parecchi casi, per tutta una generazione che ha smesso di fare politica e che si è messa da parte rispetto ad ogni idea generale, tale è stata la situazione di gran parte della sinistra extraparlamentare francese: dopo il fallimento alcuni sono tornati verso il giornale Liberation, altri mano a mano sono tornati verso gli studi del pensiero ebraico (si prenda l'esempio di Victor), o veramente hanno smesso di fare non solo politica ma anche qualsiasi teoria. Durante questo periodo, cioè dopo lo scioglimento di PO, in Francia direi che si è aperto un certo spazio per l'autonomia: a me andava molto meglio l'autonomia e l'autonomia dell'operaio sociale che la forzatura, il partito, le avanguardia per il partito, anche se era ben scritto non era nulla, mi sembrava più che altro un discorso, non una reale capacità di organizzare le cose. Dunque, durante questa parte che va dal '74-'75 fino al '79-'80-'81, c'è stato un vero e proprio inizio di uno sviluppo degli autonomi francesi, che erano diversi dall'autonomia operaia italiana ma che costituivano un'interessante realtà. Abbiamo quindi fatto un'esperienza che era più francese che italiana, sono tornato a fare il leader dell'"autonomia francese", che in quel periodo ha fatto veramente una grande attività sia nelle radio, sia nell'intervento del collettivo disoccupati e dei sans papiers. Non ho ancora parlato di un incontro che è stato per me decisivo, ed è quello con compagni dell'immigrazione. Di fatto la questione dell'immigrazione interessava ai nostri compagni italiani, specialmente quelli di PO, però l'immigrazione italiana era interessante come modo di propagazione, ma non era il problema teorico dell'immigrazione come una spaccatura nella composizione di classe, come un problema reale di essa. Mi ricordo che era difficile spiegare ai nostri compagni della Fiat o a Romano Alquati che avere 22 nazionalità non è la stessa cosa che avere una classe operaia italiana, anche se c'erano gli italiani del Sud era comunque un'altra cosa; e quando 300 tunisini sono stati assunti dalla Fiat nel '73, mi ricordo perfettamente che ho detto ad Alquati, a Toni e ad altri che bisognava sorvegliare questo fenomeno perché era molto importante. Cosa che loro non hanno fatto, penso che sia stato un errore tremendo: a mio avviso, anche se naturalmente è facile rifare la storia, però tutto quello che ha seguito, questa radicalizzazione della classe operaia bianca, in questo includendo i CUB, poi le Brigate Rosse e gli altri gruppi armati, è accaduto quando nella composizione di classe il partito invisibile non era più tale perché era già sciolto in varie situazioni, e il padronato aveva un piano per scomporre tutto completamente, per sconfiggere. Non mi ricordo quanti operai immigrati c'erano all'epoca ma certamente nella sconfitta dell'80 alla Fiat questa era già una variabile importante nel territorio. Ciò è un peccato perché avremmo potuto veramente organizzare delle cose e cambiare un po' questa dinamica. Nel '70 mi ricordo che Luciano Ferrari Bravo mi aveva chiesto per "L'operaio multinazionale" uno scritto che ho fatto sull'immigrazione in Francia, e lì ho studiato e ho scoperto una cosa che per me era importante, cioè che mai la classe operaia è stata francese: il che era una scoperta, perché si diceva che esisteva prima una classe operaia francese, poi è stata scomposta dall'immigrazione, ma di fatto, riprendendo da capo, ci si accorge che non è mai esistita una cosa del genere. E c'era una traccia di ciò, la famosa discussione sulla classe operaia di Francia o la classe operaia francese: è stata una discussione nel Partito Socialista dell'Internazionale in Francia sopra la denominazione, Parti Ouvrier de France o Parti Ouvrier Francais. La cosa corretta era piuttosto Parti Ouvrier de France, perché già la classe operaia era completamente mezzo italiana, poi polacca ecc.

1 - 2 - 3 - 4 - 5 - 6 - 7 - 8 - 9 - 10 - 11 - 12

Per informazioni scrivere a:
conricerca@hotmail.com

.