>Home >Interviste
>Home page
>Interviste
>Riviste
>Bibliografia
>Il dibattito oggi
>Ricerca sul femminismo

> Percorso di formazione politica e culturale
(pag. 1)

> Relazione sulla composizione di classe
(pag. 7)

> Ipotesi sull'operaismo
(pag. 10)

> Autori e figure di riferimento nel dibattito oggi
(pag. 12)
INTERVISTA A YANN MOULIER BOUTANG - 7 LUGLIO 2001


Naturalmente in questa ipotesi fondamentale la fabbrica diventa quella che Peter Brooker ha definito come una scatola vuota, cioè un tipo di rapporto giuridico: non a caso l'Alcatel ha annunciato che nel futuro sarà una ditta senza impresa, senza stabilimenti che sono trasferibili dappertutto. C'è un rapporto dell'OCD, ancora più o meno confidenziale, che dice che l'80% di tutti i lavori materiali che vengono sviluppati nelle metropoli europee possono essere fatti da qualche altra parte del mondo molto facilmente. Dunque, questo probabilmente significa che torniamo ad una situazione in cui le fabbriche sono ditte sul territorio, che lo governano, con delle combinazioni di una parte dell'hardware, essendo il prodotto o qui o là, ma ciò non importa perché può essere cambiato domani. Questa riorganizzazione cambia enormemente, perché probabilmente il tipo di rapporto ottocentesco fra società e fabbrica, isolandosi, non esiste più, e questo è interessante anche come problema di intervento. La crisi del sindacalismo, la crisi di ripresentazione di questo lavoro mi interessa se legata a tale questione: il problema non è che i sindacalisti non sono abbastanza bravi, che la gente non si mobilita ecc., questo non mi interessa, mi interessano invece le trasformazioni sistemiche che possono dare un quadro complessivo di spiegazione.


Rispetto all'operaismo politico e a questa ricerca, Romano ha formulato un'ipotesi che sicuramente si riferisce ad un'esperienza trascorsa, ma che può offrire dei fondamentali nodi analitici aperti nel presente. Romano sostiene infatti che l'operaismo si è mosso all'interno di un particolare poligono, cercando di fare i conti con i suoi vertici, in parte riuscendovi ed in parte no. I vertici sono rappresentati dalla politica e dal politico, dagli operai e dalla loro soggettività (questione ben poco affrontata dagli operaisti), dalla cultura (che tutto sommato è rimasta quella umanistica di derivazione desanctisiana-crociana-gramsciana), dalla questione generazionale e giovanile; si può poi aggiungere un quinto vertice costituito dalle donne. L'importanza dell'operaismo politico (in particolare di quello sviluppatosi tra la fine degli anni '50 e i '60) è stata di collocarsi, oggettivamente e soprattutto soggettivamente, in una cruciale fase di transizione capitalistica, quella del passaggio (che per l'Italia è avvenuto in ritardo rispetto ad altri paesi dell'occidente sviluppato) al taylorismo-fordismo; anche tu hai prima sottolineato la diversità della situazione francese rispetto all'anomalia italiana, che è sostanzialmente segnata da un periodo di reindustrializzazione. In questa particolare fase, l'importanza dell'operaismo è consistita da una parte nell'avere avuto una lettura nuova del sistema socio-economico, in questo rompendo con un PCI e una sinistra fermi al discorso sul capitale monopolistico; dall'altra, nell'individuare l'operaio-massa come forza baricentrale non solo per una prospettiva anticapitalista, ma anche per l'ipotesi di un'operaietà contro se stessa. In questo c'è stata la capacità di cambiare effettivamente segno rispetto alla cultura di sinistra che si è formata sull'operaio di mestiere, da cui il lavorismo, lo scientismo, il tecnicismo, lo sviluppismo di cui continua a essere impregnata la sinistra oggi. In questo senso si è riusciti ad andare avanti, verso una rottura con una certa sinistra e un certo marxismo; dall'altra parte, però, l'operaismo non riesce a ri-elaborare nuovi obiettivi, un nuovo progetto e una nuova cultura politica adeguata all'operaio-massa come referente collettivo, all'ipotesi di una classe operaia contro se stessa. A quel punto l'operaismo torna indietro, ad una cultura politica ottocentesca, quella formatasi sull'operaio di mestiere. Dalle interviste si può significativamente vedere come quasi tutti gli operaisti, con tutte le differenze di percorsi e di opzioni che si sono dati (Tronti nel PCI, Negri in un partitino ad esso alternativo), tutto sommato intendono la politica e soprattutto il politico come mera questione di organizzazione, e non come ri-elaborazione di nuovi fini, di un nuovo progetto e di una nuova cultura politica.

Si tratta della famosa affermazione che il compito non è niente, non abbiamo che fare, rifiuto immediato, il che produce la cultura del rifiuto.

1 - 2 - 3 - 4 - 5 - 6 - 7 - 8 - 9 - 10 - 11 - 12

Per informazioni scrivere a:
conricerca@hotmail.com

.