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(pag. 13)
INTERVISTA A GIORGIO MORONI - 7 LUGLIO 2001


Nel frattempo ho continuato a svolgere attività imprenditoriale. Avendo degli obblighi, non potendo uscire di casa la sera, ho organizzato una sorta di salotto con molti compagni che venivano a trovarmi (tra questi anche Sandrino Mezzadra ovviamente); insieme a loro ho redatto un documento che ha avuto un certo peso qua a Genova, chiamato Programma Ugolino. In conseguenza del suo nome, esso ha comportato una catena di perquisizioni. In realtà il nome dipendeva dal fatto che io all'epoca maneggiavo molto poco l'informatica, quindi per me la traduzione di file era programma, e quindi ho italianizzato stupidamente file in programma; Ugolino era una cosa che si scriveva in attesa delle celebrazioni colombiane, e ovviamente era antipatico ed insopportabile questo Cristoforo Colombo che era tornato con il suo carico americano e stava molto più simpatico uno dei fratelli Vivaldi che invece dal loro viaggio oltre le colonne d'Ercole non sono più tornati, per loro sfortuna e per nostra fortuna. Ci fu un'ondata di perquisizioni pazzesca, mi ricordo quando mi portarono in questura e mi chiesero "ci dica che cosa c'è nel Programma Ugolino", una roba veramente incredibile. Negli ultimi anni ho lavorato in maniera matta e disperatissima, per disperazione più che altro, ma adesso qualcosa sta cambiando, adesso forse c'è qualcosa di nuovo nell'aria.


Tu hai precedentemente analizzato la contraddittorietà della situazione genovese, da una parte in anticipo e dall'altra in ritardo. Alcuni sostengono che sul finire degli anni '60 quella forza operaia che era stata centrale nella fase del passaggio italiano al taylorismo-fordismo avesse già imboccato la strada del declino. Tronti sintetizza questa ipotesi con una metafora: "avevamo visto il rosso, ma era quello del tramonto e non dell'aurora". Paradossalmente, nel momento in cui i movimenti e le mobilitazioni diventano quantitativamente più grosse, a quel punto sta già declinando quella forza che alcuni avevano ipotizzato di poter utilizzare per un progetto non solo anticapitalista, ma anche per uscire e rompere il tecnicismo, il lavorismo, lo sviluppismo, il produttivismo della sinistra, formatasi sulla figura dell'operaio di mestiere, nel sogno di una classe contro se stessa. Tu cosa ne pensi?

Non sono completamente d'accordo. Io sono tra quelli che si sono formati su Tronti, quello di "Operai e capitale", la mia formazione decisiva sicuramente avviene sui libri di Tronti e anche su quelli di Toni. Detto questo, secondo me Tronti è preoccupato di dare una giustificazione ex post delle sue scelte successive, alquanto complicate. Se il rosso poteva essere intravisto non vedo come in quel momento potesse essere considerato come il rosso del tramonto: io direi che in realtà quello che avviene negli anni successivi è un'esplosione sicuramente ritardata di violenza operaia, ma è movimento autentico, è una marea crescente, montante. Che poi questa marea montante possa essere considerata una manifestazione postuma, beh l'Italia non è il centro del mondo, i processi vanno anche visti ed inquadrati ogni tanto in uno scenario mondiale. E' una manifestazione anche un po' provinciale di lotta operaia, così come arriva in ritardo, è vero che dura molto a lungo e si brucia poi molto velocemente: è anche un processo di modernizzazione che conclude molto velocemente il suo svolgersi, per cui solo a distanza di qualche anno si può intravedere a questo punto sì il rosso del tramonto. Già nei primi anni '70, almeno intellettualmente, poteva essere dichiarata la parola fine per quanto riguarda la centralità operaia. Qui parliamo di centralità politica della classe operaia, non parliamo delle lotte della classe operaia.
Quello che avviene a Genova è un qualcosa di diverso e, se si vuole, di abbastanza casuale: dipende dalla classe operaia di questa città. Genova è la capitale della Resistenza, è la città che per prima e da sola si libera grazie alla potenza e alla forza del movimento di Resistenza; ma grazie anche (e questo è un aspetto non secondario) alle capacità diplomatiche della Curia, anche alle capacità diplomatiche di un certo ceto politico che poi diventerà di lì a poco democristiano, è infatti vero che Taviani è un personaggio chiave della politica genovese da prima della fine della Seconda Guerra Mondiale.

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