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INTERVISTA A GIORGIO MORONI - 7 LUGLIO 2001


Questo convegno lo ricordo con piacere perché è stato il tentativo, secondo me generosissimo, di organizzare un momento di discussione deliberatamente non influenzato dalle esperienze del carcere e dalla problematica della repressione. E' generosissimo perché in quel momento tutte le persone che ho citato (a parte Albertini, si intende), quelle che poterono venire e quelle che non poterono venire e che vennero comunque invitate a spedirci un loro contributo, erano persone schedate, incarcerate, che lo erano state o che lo sarebbero state, erano persone alle prese con quintali di anni ipotetici e potenziali di carcere. Quindi, tutto il dibattito di quegli anni ormai era fortemente influenzato e prevalentemente condizionato e focalizzato sul tema della repressione, sulla risposta alla repressione, era un dibattito ormai totalmente appiattito sul carcerario, sul giudiziario, sul repressivo. Nell'introduzione che feci io dissi: "oggi non parleremo né di carcere, né di giudici, né di poliziotti, né di carabinieri, né di repressione". Era ovviamente una cosa assolutamente velleitaria, però riuscimmo a non parlare di carcere.
In quegli anni decisi di iniziare una partita a scacchi con il potere giudiziario, e scelsi in assoluta solitudine di cominciare una controinchiesta che avrebbe avuto come finalità quella di chiedere la revisione e quindi di smontare la montatura ormai definitivamente consegnata ai faldoni giudiziari. Per cui cominciai con il rintracciare una superteste, che nel frattempo era andata ad abitare in Australia: fui costretto ad indebitarmi in maniera considerevole prima per rintracciarla, successivamente per mettermi in contatto prima epistolare e poi telefonico con lei. Lascio immaginare che cosa poteva contenere la lettera che io faticosamente scrissi a questa superteste che aveva testimoniato il falso contro di me, robe tipo "sei il mistero della mia vita". Mandai dunque una persona in Australia per ottenere una modifica di quelle dichiarazioni, che ovviamente fu controfirmata dall'ambasciatore italiano a Sidney. Riuscii ad entrare in contatto con alcune altre persone che potevano testimoniare nel dettaglio la falsità della costruzione accusatoria non solo nei miei confronti ma anche nei confronti di altri miei coimputati. Quindi, raccolsi tutto questo materiale, ci misi quattro o cinque anni, ciò mentre lavoravo. Solamente quando raggiunsi un certo grado di sicurezza sul fatto che le prove che avevo raccolto potevano essere considerate fondate e inattaccabili, soltanto in quel momento chiesi la revisione del processo. Lo feci senza dare pubblicità, nel senso che feci in modo che i carabinieri coinvolti in questa montatura capissero che da parte mia non c'era nessun desiderio di pubblicità, cosa che è ovvio che avrebbe compromesso la mia iniziativa: forse loro ebbero la sensazione che da parte mia ci fosse solo un desiderio di riabilitazione personale, mentre io in realtà desideravo come minimo stroncare le loro carriere, e questo è un altro discorso. Quando fui certo di questo, chiesi la revisione, ci fu il processo e tutte le condanne per partecipazione a banda armata, nei confronti miei e di alcuni dei miei coimputati, vennero definitivamente cancellate. Ci furono anche dei colpi di scena su cui in questa sede non posso dilungarmi, ma accaddero delle cose molto curiose, tra cui l'arrivo per posta dall'Australia, il giorno dell'ultima udienza, di una busta contenete la mia foto segnaletica in originale che era stata consegnata a questa superteste in Australia affinché le fosse possibile riconoscermi nel caso in cui, nel corso dei vari processi, si fosse reso necessario un confronto all'americana: lei non mi conosceva neppure! Questa cosa, in effetti, contribuì a stroncare (cosa di cui vado orgoglioso) la carriera di qualche carabiniere e di qualche giudice, e questo è un avvenimento che conta, che vale: la vendetta non è necessariamente uccidere un uomo, evirarlo o altro, la vendetta è anche stroncargli la carriera se quest'uomo è una persona che tiene particolarmente ed esclusivamente alla carriera. Terminato il processo di revisione, iniziammo una causa per la riparazione dell'errore giudiziario, questo nel '93, '94, '95, perché poi è grosso modo in questi anni che si è conclusa questa vicenda giudiziaria iniziata nel '79. Questo è un aspetto ludico della vicenda, perché fu abbastanza facile dimostrare, non tanto per quanto riguarda il mio caso ma per quanto riguardava i miei coimputati, la rovina psicofisica che era stata la conseguenza più o meno generale di anni di galera prima, poi di processi ripetuti, di latitanze, di preoccupazioni, di pericoli ecc. E quindi riuscimmo complessivamente ad ottenere un miliardo, una somma per qualche tempo fu la più alta mai ottenuta da cittadini italiani per un errore giudiziario. Devo dire molto onestamente che io, con quello che sono riuscito ad ottenere, ho pagato i miei debiti, perché questa impresa che ho sommariamente descritto è stata piuttosto costosa, ha comportato delle spese notevoli, quindi non mi sono certamente arricchito.

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