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INTERVISTA A GIORGIO MORONI - 7 LUGLIO 2001


Quando nel '77 dopo il decreto che soppresse alcune festività e dopo le prime giornate di cassa integrazione all'Italsider (va detto che l'Italsider, come tutte le fabbriche parastatali e statali si riteneva protetta dal pericolo di chiusura o di cassa integrazione, si ritenevano assolutamente intoccabili, al di fuori di processi di ristrutturazione che potessero compromettere o pregiudicare le condizioni della classe operaia) andiamo in una decina a volantinare in uno degli stabilimenti del gruppo Ansaldo, dicendo semplicemente: "ormai la strada imboccata è senza ritorno, quindi ci sarà la cassa integrazione, ci saranno i licenziamenti, ci sarà lo smantellamento dell'industria, il ciclo siderurgico è alla frutta a livello europeo, muoviamoci, anticipiamo i tempi"; i primi operai prendono i volantini, un sindacalista entra in fabbrica, ne esce con un megafono e continua per almeno un'ora a dire: "alcuni fascisti, non potendo dire di essere tali per non essere massacrati, che usano il P38 contro la classe operaia e lo stato democratico, sono venuti qui questa mattina a provocare la classe operaia genovese, che è la classe operaia che ha salvato la democrazia, che ha liberato Genova dal fascismo e dal nazismo". Veniamo respinti, questo è quello che solitamente accade in una fabbrica genovese: è veramente una realtà che ci obbliga rapidamente a considerare come finita un'esperienza, un ciclo, e che quindi ci induce prima che altrove a maturare altre convinzioni.
Nel '78 l'esperienza politica a Genova volge rapidamente al termine. Vivevamo ormai in una situazione di chiusura politica ed anche di diffidenza, io, per esempio, avevo aperto una libreria a Genova nel '77 con Stefania e con altri compagni dell'Autonomia: questa libreria viene paradossalmente boicottata da tutti, non ha spazio, viene asfissiata dalle perquisizioni e dalle delazioni, dalle calunnie ecc. Nel '78 io vengo arrestato durante il sequestro Moro, perché in quei gironi stavo lavorando al secondo numero di Nulla da Perdere, che era il giornale dell'Autonomia Operaia ligure ed avevo a casa il menabò del giornale: i carabinieri trovano nel menabò una busta, una corrispondenza, una lettera arrivata regolarmente per posta da un gruppo genovese che ha compiuto un attentato dinamitardo, mi pare nella sede di una finanziaria, e con la scusa che io sono in possesso di un originale del volantino di rivendicazione (anche se immagino che non fosse l'unico originale) vengo arrestato. Viene dato a ciò un ampio risalto, sono uno di quelli che viene arrestato durante il sequestro Moro, perquisiscono l'abitazione dei miei nonni in Umbria perché potrebbe essere uno dei covi in cui è custodito l'onorevole; ma poi, 40 giorni dopo la morte di Moro, vengo scarcerato per scadenza dei termini. A distanza di quasi un anno, dopo il 7 aprile a Genova i carabinieri di Dalla Chiesa, come risposta competitiva a quella operazione, organizzano un blitz basato su testimonianze di due ragazze, una ex militante di Lotta Continua e un'altra che non aveva nessuna esperienza di militanza e che all'epoca era tossicomane, persone che vengono obbligate, indotte o costrette dai carabinieri a fornire delle false testimonianze. Quindi, finiamo in galera in 17 o 18, direi tutti tranne Fenzi, che è l'unico che ha qualcosa a che fare con le Brigate Rosse come poi si scoprirà: tutti noi non abbiamo nulla a che fare con le BR. In realtà, il blitz del generale Dalla Chiesa il 17 maggio del '79 è un bluff. non hanno nulla in mano se non delle dichiarazioni false. Io in particolare vengo accusato di aver tentato di reclutare una certa ragazza in un mese dell'anno precedente in cui tra l'altro non avrei mai potuto farlo perché ero in galera, ma di questo non serve parlarne durante gli interrogatori perché i giudici arrivano al punto di farsi testimoni e di correggere loro stessi la testimonianza inefficace, quindi mi tengono dentro. In realtà io rivesto un ruolo che in quel momento è importante nella strategie nazionale contro i movimenti, perché da un lato sono arrestato come brigatista rosso, quindi secondo i carabinieri sono uno dei dirigenti della colonna genovese delle BR; dall'altro, però, sono notori i miei contatti con l'Autonomia, in particolare con Toni Negri, c'è corrispondenza, trovano delle lettere alla Fondazione Feltrinelli, a cui Toni aveva affidato tutto il suo epistolario. Quindi, sono un anello di congiunzione: il fatto che io, in quanto brigatista, fossi in rapporto con Toni Negri dimostra quanto il teorema Calogero fosse fondato! Diciamo che è una doppia calunnia che si sostiene reciprocamente. Rimango in galera per circa un anno, prima a Novara, poi a Brescia, poi nuovamente a Genova in attesa del processo; poco prima di questo arrestano Peci, e qualche giorno prima dell'inizio del nostro processo a Genova, che sarà comunque ed è stato il primo processo degli "anni di piombo", c'è l'irruzione dei carabinieri nel covo di via Fracchia, dove ormai è storicamente accertato che decidono di ammazzare quattro persone, avrebbero potuto certamente arrestarle ma decidono di compiere un'azione di rappresaglia e di farle fuori.

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