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(pag. 13)
INTERVISTA A GIORGIO MORONI - 7 LUGLIO 2001


Da questo punto di vista mettono in discussione la tradizione comunista che ha visto sempre l'esercito di leva come una garanzia, come una sicurezza popolare e proletaria nei confronti dell'esercito mercenario, dell'esercito professionale. Noi sosteniamo invece che l'ipotesi dell'abolizione della leva, pur essendo semplicemente riformistica, è una cosa a cui prima o poi il sistema capitalistico arriverà: si tratta leninisticamente di modernizzare al più presto un'istituzione per poi ovviamente combatterla nella sua sostanziale appartenenza ad un sistema disciplinare, di potere, per il suo essere un'istituzione totale. Alla fine di questa esperienza esce un libro, che si intitola "L'esercito è un cadavere armato", che è una delle prime pubblicazioni del Collettivo Libri Rossi, e credo venga presto sequestrato, i cui contenuti sono senz'altro anticipatori, alla luce di quanto è avvenuto in questi anni.
Dopo il congedo continuo a fare attività politica nell'Autonomia, facciamo a Genova qualcosa di significativo con l'autoriduzione delle bollette ENEL e SIP. Con l'Autonomia a livello nazionale, Rosso, manteniamo un rapporto continuo ma non intenso, nel senso che non ci facciamo troppo coinvolgere dalla frenesia milanese e veneta rispetto all'illegalità di massa, ai percorsi di militarizzazione ecc. Manteniamo una posizione molto equidistante rispetto all'Autonomia del nord e l'autonomia romana; in realtà, entriamo in un rapporto abbastanza intenso con i collettivi dei Volsci, con Vincenzo Miliucci, con Giorgio Ferrari, con Daniele Pifano. Cominciamo a organizzare delle cose insieme, in particolare l'iniziativa contro il Piano Nucleare, che poi confluisce nel febbraio del '79 in un convegno che viene non a caso organizzato a Genova, sede dell'Ansaldo e quindi sede del Piano Energetico Nucleare. C'è una cosa che devo aggiungere. Dopo l'esperienza del GOS, i rapporti col Partito Comunista erano diventati conflittuali: noi siamo dei fascisti non quando partono le prime molotov, ma molto prima. Io sono considerato un fascista dai compagni del Partito Comunista, con i quali avevo fatto le elementari a Certosa o le medie a Rivarolo ecc., già nel 1970, cioè nel momento in cui aderisco a Potere Operaio sono un fascista. A Genova, molto prima che sul territorio nazionale, si verifica questo fatto: il Partito Comunista assume una posizione di totale rigidità nei confronti del movimento, si erige uno steccato invalicabile, crea le condizioni perché questa parte consistente del movimento non abbia altro sbocco che non quello di vincere o perdersi, combattere comunque, in ogni caso, senza altre soluzioni. Da questo punto di vista continuo a dire che Genova è una realtà da un lato più arretrata e dall'altro più matura: forse noi abbiamo avuto l'opportunità di vedere prima quello che sarebbe accaduto proprio per la grande maturità, forse sarebbe meglio dire marcescenza, dei processi di scomparsa della centralità operaia, quindi la fine di un equilibrio e di un rapporto di classe nel quale eravamo culturalmente nati.
So che questa situazione è accaduta anche in altre realtà, forse a Genova accade un po' prima, già nel '70.


Probabilmente avviene già prima, all'inizio degli anni '60 Faina, Della Casa e il gruppo genovese che poi transiterà in Classe Operaia ha grandi difficoltà e vive un pesante isolamento.

Sì, è vero; tra l'altro precedentemente avevo dimenticato di citare Gianfranco Della Casa. Ma ancora alla fine degli anni sessanta il gruppo di Faina è attivo con la Lega Operai e Studenti, e la fabbrica rimane comunque il loro principale riferimento. Che altro potevi fare a Genova in quegli anni d'altra parte? Vivevi in mezzo alle fabbriche, respiravi fabbrica. Il 12 dicembre '70, dopo la morte di Serantini, i luddisti genovesi vanno davanti all'Ansaldo per indire uno sciopero generale, strage di Stato un anno prima, morte di un anarchico l'anno dopo: vengono respinti ed anche picchiati come fascisti dalla classe operaia genovese.

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