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INTERVISTA A GIORGIO MORONI - 7 LUGLIO 2001


In questa situazione PO raccoglie molte adesioni tra gli studenti medi figli di quella classe operaia che per prima non crede più in se stessa; facciamo più volte intervento di fronte alle fabbriche del Ponente, ma raccogliamo pochissimi operai e non abbiamo nessuna oggettiva influenza nei conflitti operai di quel periodo, peraltro piuttosto difensivi e rituali.
A Lotta Continua va sicuramente meglio, anche perché garantisce agli operai che aderiscono a LC migliori condizioni di vita di quanto noi, con i nostri attivi ed esecutivi e segreterie simibolsceviche riusciamo ad offrire, ma la sostanza non cambia. I gruppi enfatizzeranno oltre misura i pochi episodi in cui si manifestano conflitti, ma in realtà questi eventi riguarderanno solo alcuni reparti dell'Ansaldo caratterizzati da alta nocività o le ditte dell'appalto all'Italsider in lotta per l'inquadramento negli organici d'impresa.
Ricordo di aver maturato da allora un certo disincanto di fronte ad una classe che si mostrava così distante dal ciclo di lotte cui avevamo assistito nel Nord del paese e di cui avevo letto; dell'operaismo io però apprezzavo soprattutto il metodo, l'inchiesta, la critica rigorosa del piano, l'abitudine a studiare le ristrutturazioni per rivoltarle politicamente. Poteva andarmi bene quindi che il nostro lessico e i nostri codici fossero così tradizionali e conservatori ma anche così familiari a generazioni di comunisti. Pensavo che un guscio leninista dovesse pur proteggere un pensiero moderno ma ancora fragile.
Nel '73 decidiamo come sezione di Potere Operaio di Genova di aderire alla posizione negriana di scioglimento del gruppo e aderiamo quindi all'ipotesi dell'Autonomia Operaia: partecipo a Padova al seminario alla facoltà di Scienze Politiche nell'agosto del '73. Il gruppo di persone di Genova che partecipano a quel convegno è molto eterogeneo, a riprova della grande fluidità ed anche confusione del periodo: c'è Giorgio Raiteri, già segretario della sezione di PO, medico già all'epoca, che veniva dall'esperienza del COP, un gruppo che si era occupato di nocività, forse il collettivo che aveva fatto l'intervento più tipicamente operaista a Genova negli anni precedenti. C'è Giuliano Naria, allora ancora operaio dell'Ansaldo Meccanico, compagno estremamente sensibile ed intelligente, un vero spirito ribelle, completamente indipendente ma anche molto generoso, uno che aderiva completamente ai progetti ma rimaneva invariabilmente se stesso: quindi, lui era stato prima marxista-leninista, poi in Lotta Continua ma molto vicino al modo di pensare di Potere Operaio, poi è stato per un breve periodo anche nelle Brigate Rosse ma sempre molto vicino al modo di pensare dell'Autonomia Operaia, senza mai lasciarsi coinvolgere in truci esperienze. Era uno a cui piaceva giocare, cioè faceva molto seriamente tutto ciò a cui era spinto dalla sua passione politica ma senza prendersi troppo sul serio. Nella sua lunga esperienza carceraria avrebbe scritto favole e romanzi; una volta uscito di galera, già minato nel fisico, sarebbe diventato anche giornalista finanziario, l'ultima volta, prima che si ammalasse l'ho incontrato ad un Convegno in Assolombarda a Milano. E poi c'è Livio Baistrocchi, questa figura misteriosissima di latitante perenne delle Brigate Rosse: è un artista, un pittore, che aderisce a PO subito dopo la sua nascita, con un atteggiamento sicuramente molto estetico nei confronti del conflitto, della militanza. Di lì a poco lui sarebbe entrato nelle BR per essere il protagonista di tutti gli episodi più feroci delle Brigate Rosse a Genova.
Nasce quindi a Genova l'Autonomia. Nel frattempo io ero arrivato a Balbi alla fine del '72 per iscrivermi all'Università e sicuramente questo è un altro momento formativo importante della mia biografia politica: entro in contatto con Gianfranco Faina, con Gianni Armaroli, con Pierpaolo Poggio, con Luigi Grasso, con Giovanni Calamari ecc. Entro dunque in relazione con quel gruppo di intellettuali genovesi che avevano partecipato all'esperienza di Classe Operaia e che avevano successivamente rotto con il gruppo degli operaisti, in particolare dopo l'esperienza del Maggio francese, proprio a partire dal lavoro di inchiesta fatto sulla classe operaia genovese. Mentre il resto dell'Italia si balocca ancora con l'archeologia leninista, con l'operaio-massa, in realtà queste persone vanno oltre, cominciano a parlare di produzione immateriale, di produzione capitalistica della soggettività, e immettono in maniera consistente in Italia l'esperienza dell'Internazionale Situazionista. Ne danno una lettura assolutamente militante, questo è importante: danno una lettura molto militante dell'esperienza situazionista.

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