>Home >Interviste
>Home page
>Interviste
>Riviste
>Bibliografia
>Il dibattito oggi
>Ricerca sul femminismo

> Percorso di formazione politica e culturale e inizi dell'attività militante
(pag. 1)

> Gianfranco Faina e il gruppo genovese di Classe Operaia
(pag. 4)

> La forza operaia e il rosso del tramonto
(pag. 9)

> Limiti e ricchezze dell'operaismo, nodi aperti
(pag. 11)

> Il "poligono" dell'operaismo
(pag. 12)

> La perdita del rifiuto del lavoro
(pag. 13)
INTERVISTA A GIORGIO MORONI - 7 LUGLIO 2001


Quindi, c'è questo insieme di elementi: però, Genova è comunque una città rossa. In quanto città rossa, in quanto città comunista, in quanto città in cui tutte le strade, anche dopo il '48, sono intitolate a militanti, non solo a eroi, della Resistenza, a tutti i partigiani che sono morti nel corso della guerra di liberazione, è una città che viene tenuta fuori dallo sviluppo, da quelli che sono i comparti centrali nello sviluppo capitalistico del dopoguerra italiano. Quindi, è una città in cui la classe operaia viene fatta morire per estenuazione ed asfissia, viene fatta annegare nel suo brodo, non c'è ricambio. L'unico caso di azienda importante, ovviamente parastatale, che viene rilanciata e sviluppata è certamente l'Italsider, perché si trattava di uno stabilimento la cui costruzione era iniziata prima dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale: l'area era già pronta, il porto accogliente per l'arrivo di minerali necessari alle lavorazioni siderurgiche era lì, quindi sarebbe stato assurdo non utilizzare area, porto ecc. Però, l'Italsider è uno stabilimento che viene formato con manodopera scelta accuratamente tra gli immigrati oppure tra i comuni del circondario di Genova, attraverso un filtro che è quello delle parrocchie: in sostanza, si viene assunti all'Italsider solo se non si è comunisti, o meglio se si è anticomunisti. Mio padre stesso, che era socialista lombardiano, e che è un contadino umbro immigrato a Genova subito dopo la guerra, dopo alcuni anni di disoccupazione accettò di fare domanda all'Italsider e accettò di giurare di non essere comunista per essere assunto, non se ne vergogna ancora a raccontarlo. Quindi, c'è l'Italsider che è uno stabilimento importante perché raggiungerà le 6000-7000 unità, che sono tante per essere una fabbrica dentro la città. Curiosamente sarà solo l'Italsider (in cui ovviamente la FIOM è in minoranza, mentre è la FIM ad essere in maggioranza), a dar luogo agli unici episodi di autonomia operaia genovese: proprio perché c'è classe operaia che non è comunista, che addirittura in parte è anticomunista, però è strutturalmente classe operaia, non è meno classe operaia per questo, e quindi esplode e non ha strumenti di controllo, cioè non ha il Partito Comunista con guinzaglio in grado di controllarla. Autonomia a Genova, potrebbe essere lo sciopero dell'altoforno, avviene all'Italsider, proprio perché lì il controllo del partito e dalla FIOM è più scarso, non c'è o comunque è carente: è curioso questo. Gli altri episodi di autonomia operaia (con cui intendo rottura del ciclo, insubordinazione ecc.) avvengono dove a Genova? Avvengono nelle ditte del subappalto, si tratta di questi strumenti di flessibilità padronale che lavorano in genere sempre per l'Italsider, che a conclusione dei cicli lavorativi scendono in lotta per essere inquadrati negli organici dell'impresa: quindi, sono sacche di lavoro operaio marginale che lottano per entrare nel ciclo. Ma le fabbriche non lottano, le fabbriche scendono in piazza se c'è minaccia di golpe, se c'è minaccia di svolte autoritarie, scendono in piazza per appoggiare il partito, poi basta, per il resto non si muovono. Quindi, noi abbiamo a che fare con una città in cui il ceto imprenditoriale capitalistico italiano ha deciso di non intervenire perché è una città inaffidabile e pericolosa. Noi entriamo in contatto con questa vecchia classe operaia alla fine di un ciclo. Questo lo dico non perché abbia mai inteso attribuire al gruppo di Classe Operaia che se ne andò verso correnti di pensiero situazioniste, e neppure attribuire a me o ad altri che facevano politica con me, il merito di avere anticipatamente visto lo svolgimento del processo: è che noi siamo entrati in contatto con la classe operaia più conservatrice del paese e con il ceto sindacale e di partito più bigotto che si sia mai visto al mondo, però anche questa era classe operaia. Ne è nato un conflitto e poi la sensazione di totale incomunicabilità: questo spiega le scelte sicuramente estreme di Faina e del suo gruppo, e, si parva licet, le scelte disincantate mie e dei compagni che hanno lavorato con me.
A Milano c'è l'Assemblea Autonoma dell'Alfa, poi c'è la brigata Walter Alasia, lì invece c'è il suicidio giapponese dell'operaio-massa, è un suicidio collettivo.
Le Brigate Rosse a Genova, questo va detto, apparentemente interpretano questa composizione di classe: calano con l'intenzione di fare della colonna genovese quella principale perché Genova è il terzo polo industriale. In realtà, le Brigate Rosse a Genova non ci sono mai state: gli episodi più eclatanti e clamorosi che hanno dato all'esterno un'immagine di imprendibilità, di straordinaria efficacia e di grande radicamento delle BR a Genova sono posti in atto da militanti brigatisti che vengono da Torino o da Milano o da Reggio Emilia, e che di fatto sono imprendibili proprio perché a Genova non ci stanno. Ma fino al '77 e anzi direi fino al '78 le Brigate Rosse a Genova non ci sono, sono poche persone assolutamente non significative. Però, grazie al gioco mediatico riescono ad assumere un ruolo che non gli è assolutamente proprio, riescono a crearsi un credito completamente millantato.

1 - 2 - 3 - 4 - 5 - 6 - 7 - 8 - 9 - 10 - 11 - 12 - 13

Per informazioni scrivere a:
conricerca@hotmail.com

.