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INTERVISTA A ENZO MODUGNO - 18 GENNAIO 2001
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La cosa che mi sta preoccupando in questo periodo è che in tutta la sinistra, dall'estrema destra all'estrema sinistra della sinistra, nessuno fa più il discorso "da dove viene la ricchezza", o meglio lo fanno ma lo fanno in modo secondo me del tutto inadeguato, e mi pare che ci siano degli accenni sul vostro documento. C'è una sinistra in genere ex potoppina che dice: "il lavoro non è più la fonte della ricchezza", con tutto quello che ne segue, come si sa; c'è un'altra parte, i vetero-marxisti, che dicono: "La ricchezza viene soltanto dal lavoro manuale, quindi sono soltanto i beni materiali che costituiscono la ricchezza capitalistica". Allora, il problema è che nelle società più avanzate, dove il capitalismo è più sviluppato, ormai siamo quasi a ¾ della ricchezza che viene da un settore che va sotto il nome di servizi, in Italia siamo a più del 60% credo: ora, sono puro spirito questi ¾ del PIL che vengono da quel settore che va sotto il nome di servizi? Questo è il problema. La tendenza è che questo settore si vada dilatando e si vanno sempre più restringendo gli altri due, l'agricoltura e l'industria. E' certo che in questo settore c'è di tutto, però io penso che sia necessario andare a vedere che cosa c'è, e soprattutto che cosa è oggi la ricchezza capitalistica, cioè i profitti: chi produce la ricchezza? Su questo la sinistra non ha dato finora risposte, questo con le conseguenze più pericolose, più strane, più bizzarre, per cui appunto la ricchezza verrebbe dalla Tunisia o dall'Indonesia perché lì ci sono ancora lavoratori manuali, e allora tutta la ricchezza che sta nei paesi capitalistici più avanzati non sarebbe nient'altro che rapina. Insomma, questa è una cosa che va superata, immediatamente, non si può andare avanti con questo schema di ragionamento. Ma si badi che pensano così dai marxisti più ortodossi fino a Rossana Rossanda, da Bertinotti a tutti gli altri: tutta questa sinistra pensa che la ricchezza si produca in India, in Tunisia, cioè in paesi tecnologicamente arretrati. Questa a me pare una grande stupidata, quindi bisogna vedere da dove viene questa ricchezza. Sicuramente hanno ragione gli ex potoppini quando dicono che non è più valido il vecchio schema, però secondo me hanno torto quando poi non identificano qual è il lavoro che produce ricchezza. Quindi, questa mi sembra la questione grossa che sta alla base di tutto: diciamo che la nobile gara per definire che cosa è la società informatica finora non ha visto grandi campioni. Per esempio c'è un ultimo articolo su Le Monde Diplomatique di una giornalista francese dove si definisce l'informazione "valore d'uso del nuovo capitalismo": a me sembra che sia un buon approccio questo, tanto per cominciare, e anche l'articolo era interessante. Cioè, il problema è capire quanto l'informazione sia diventata una merce del capitalismo informatico, del nuovo capitalismo, del capitalismo postindustriale, lo si chiami come si vuole, esattamente come il grano era il prodotto più importante della società agricola, e poi di volta in volta i prodotti industriali della società industriale. Ora, il problema è quanta informazione c'è in giro: cioè, è vero che è la merce che prevale? Cosa vuol dire informazione? Come si può misurare l'informazione? Questo non è così semplice, perché appunto servizi è una parola che comprende troppe cose, e d'altra parte l'informazione non sta solo nei servizi, sta anche nell'agricoltura e nell'industria, cioè è una merce pervasiva, che si trova dovunque; d'altra parte non è soltanto mezzo di produzione ma è anche mezzo di godimento, quindi io credo che sia una merce a tutti gli effetti, che sia possibile calcolarne il valore, quindi capire quanto lavoro umano c'è in ogni merce. Anche perché le informazioni si comprano e si vendono, cioè stanno sul mercato, sono una merce a tutti gli effetti. Certo, le informazioni sono saperi, conoscenze, informazioni di ogni tipo: a questo punto la cosa si complica e bisogna specificare. Io comincerei col dire che le informazioni non sono sempre state una merce, i saperi, le conoscenze, le informazioni non sono sempre stati una merce, anzi non lo erano affatto, o, se lo erano, erano una merce comprando la quale il capitalista si impoveriva, non faceva soldi, questo era fino a pochi decenni fa. Certo che la scienza stava nelle macchine, ma il capitalista industriale doveva comprare la scienza, nel senso che non poteva produrre direttamente i saperi da mettere nelle macchine, doveva comprarli dall'ingegnere, dallo scienziato, il quale solo formalmente era al suo servizio, nel senso che il capitalista pagando l'ingegnere che gli dava il sapere da mettere nella macchina in realtà si impoveriva, non ci guadagnava; ci guadagnava quando poi con la macchina faceva lavorare gli operai e produceva merci.

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