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INTERVISTA A VINCENZO MILIUCCI - 11 LUGLIO 2000


Ciò fa sì che il pensiero dominante sia appunto quello della costruzione, intorno al nucleo centrale dell'autonomia operaia o della centralità operaia, di un contesto che rompesse appunto con le vecchie concezioni, quelle del partito separato, con l'autonomia del politico e con la concezione del quadro sindacale che al massimo si limita a sobbarcarsi la vertenzialità. Questo frutto che viene da noi imparato all'epoca ce l'ha insegnato la strada, ce l'ha insegnato la realtà, ce l'ha insegnato anche Panzieri se vuoi e il dibattito che avveniva all'interno de La Classe, i Quaderni Rossi, il primo Potere Operaio, la rivista stessa del Manifesto: tutto questo ci comporta chiaramente una grossa base solida, una grossa identificazione. Quando avvertiamo i primi scricchiolii si mette in moto un dibattito che dura un anno all'interno del Manifesto e che è fatto di tesi contrapposte: dopo aver fatto tante iniziative politiche in comune con Potere Operaio, sotto grandi tende, meeting ecc., capiamo poi dai fatti essenziali che la cosa non è più tale e che c'è stato quanto meno questo scivolamento costante che avviene all'interno di tutte le sinistre del non poter fare a meno del loro limite istituzionale. Quindi, il loro limite istituzionale si produce nel '72 con la scelta di fondare il PDUP e di partecipare alle elezioni, che furono misere, se non erro portarono a casa poco più dell'1% o qualcosa di questo genere. Ma tant'è, la frattura si era già determinata e nella mentalità anche di bravi compagni si era reinserito il virus dell'elettoralismo, della ricerca del consenso di opinione pubblica e non del radicamento in mezzo alla popolazione, in mezzo al proletariato, quindi il creare segmenti di democrazia diretta piuttosto che di democrazia delegata. Dunque, è stato un giocoforza la presentazione poi all'interno del quadro militante del Manifesto qui a Roma (parliamo di 200-300 militanti) della rottura, quindi di tutta la parte che ha fatto riferimento alla centralità operaia. Ci interessava quasi esclusivamente quella, forse con qualche errore perché poi avremmo dovuto sistemare nel dibattito tutti quei compagni che erano giovani, che provenivano dagli studenti medi e questi in quell'anno (1972-'73) a Roma erano una generazione formidabile, che a 13-14 anni già stava rivoltando le strade di Roma, e altrettanto gli universitari, per non dire che la struttura del comitato d'agitazione borgate aveva già trovato delle evoluzioni e che quindi eravamo già posizionati all'interno del dibattito con il movimento operaio.
Comunque sia, le quattro situazioni (comitato politico dell'Enel, collettivo del Policlinico, comitato operaio, la CUB dei ferrovieri) danno vita alla sede di via dei Volsci. Ciò con il documento politico fatto dalla tesi di uscita dal Manifesto, che produce chiaramente la nemicità nei confronti di questo sistema, il rifiuto del lavoro, l'aggressione al nazionalismo per l'ipotesi sostanziale di un vissuto e di un collegamento costante internazionalista, e lo sparare a zero nei confronti di qualsiasi passaggio istituzionale: questi sono i quattro prodromi a partire chiaramente da quello che in quel momento si viveva, che era l'autonomia operaia. Intorno all'apertura di questa sede si situa subito una grossa responsabilità che è quella di cui non abbiamo fino a questo momento parlato, ossia la reazione borghese, la strage di Stato del '69 e la verifica che non è possibile esercitare l'attività politica di riscossa delle masse proletarie senza l'uso della violenza, senza la capacità cioè di difenderti, di saper contrattaccare, di essere preparato non solo a usare le armi della critica ma anche la critica delle armi. Quella fu un'altra lezione estremamente importante che era stata in qualche misura già appresa all'interno del Partito Comunista che arrivava, già durante gli anni '67-'68-'69, a chi aveva responsabilità, a partire dal segretario di sezione, con le indicazioni velocissime di asportare dalle sezioni le tessere dei militanti, perché c'erano dei motivi giusti che poi avremmo compreso successivamente nella nostra storia. Il golpismo è sempre stata un'attività presente, del resto i colonnelli greci andavano al potere nel '67, l'attività sei fascisti c'era sempre stata e quello che è avvenuto all'università lo testimonia. Dunque, la strage di Stato fece da campanello d'allarme, fece anche determinare una crescita improvvisa da parte di quelli che avevano un'età compresa tra i venti e i trent'anni, che dovettero assumersi anche la responsabilità di contrastare le attività golpiste di fronte a una situazione che li vedeva quasi soccombenti, tenuto conto che la strage era stata dichiaratamente segnata a sinistra con l'assassinio di Pinelli, l'arresto di Valpreda ecc. Quindi, nasce il comitato contro la strage di Stato, di cui ne facciamo parte come comitato politico dell'Enel e come collettivo del Policlinico, che già all'epoca dell'anno '70 veniva riconosciuto, nel contesto dei grandi gruppi (Potere Operaio, Lotta Continua, Avanguardia Operaia ecc.), come uno degli elementi non di natura lavoristica ma di natura complessiva.

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