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INTERVISTA A VINCENZO MILIUCCI - 11 LUGLIO 2000


Quindi, questi sono stati i prodromi: dentro questa vicenda si assume anche una partecipazione a maggiore responsabilità, poiché quel partito che si è ingigantito durante il voto del 1968, che è arrivato a sfiorare al Senato la Democrazia Cristiana, ha avuto la necessità di allargare la sua presenza sul territorio. In questo allargamento della presenza sul territorio mi dettero altre responsabilità sul piano della zona, si trattava della Tiburtina che all'epoca subito dopo Pomezia era la seconda zona operaia di Roma, dove c'erano le fabbriche dell'elettronica, metalmeccaniche, le vetrerie e quant'altro: in quella zona come responsabile venne a lavorare Petroselli, il quale poi diventò sindaco di Roma. Quindi, lavorammo a stretto contatto per circa un anno e mezzo, io consideravo lui un moderato, veniva dall'esperienza dell'occupazione di terra del viterbese, era un uomo che meritava rispetto perché aveva fatto queste tre grandi esperienze di mobilitazioni delle masse contadine con altrettante cariche della polizia, arresti e cose di questo genere. Dunque, l'esperienza di zona fu estremamente importante perché ci permise di avere un contatto costante con altre sei sezioni completamente a carattere operaio e giovanile. In quell'epoca chiaramente si svolse un po' tutto, perché in quel '68-'69 avviene che la FGCI, che aveva 200.000 iscritti, si scioglie, era una FGCI con dentro certi quadri e certe teste, poi fornì con i rientri anche i segretari dei Partiti Comunisti successivi; e ci fu questa grossa forma relazionale, soprattutto le manifestazioni contro gli Stati Uniti, per la tutela del Vietnam e anche per Cuba furono il grosso cemento che non fece separare la nascente sinistra extraparlamentare da quella che era la sinistra del PCI, allora insieme alla FGCI. Allora si riusciva ad andare sotto l'ambasciata americana, a differenza delle epoche successive quando quasi mai riuscimmo ad arrivarvi; non c'era ancora l'uso della molotov che venne scoperta negli anni successivi (fine '69, inizi '70), ma sicuramente c'erano dei corpo a corpo con la polizia, con degli arresti estremamente paurosi. Questa è l'incubazione di questa storia.
Alla fine del '68 comincia l'epopea del Manifesto, prima attraverso la rivista, quindi con tutti coloro i quali erano eretici rispetto alla vicenda cecoslovacca, alla vicenda dell'URSS ed erano propedeutici rispetto alla storia della rivoluzione culturale cinese, che vedevano se non come faro quanto meno come fonte di utilizzo anche qui dalle nostre parti quello che era il maoismo; ci sembrava, almeno all'epoca, un pensiero sicuramente alternativo a quella che era stata la staticità dell'Unione Sovietica. La morte di Guevara, che era già avvenuta ma che aveva fatto produrre velocemente i suoi scritti e testi, fu l'altro viatico che ci permise di dar vita a questo dibattito all'interno della rivista del Manifesto, che durò un anno e quattro mesi, quindi all'interno di quello riconoscerci, cominciando ad agire quasi da frazione all'interno del Partito Comunista. Questa cosa divenne ancora più rilevante perché, nonostante il PCI si fosse molto aperto sul territorio, cosa dovuta anche al voto, per cercare di riassumere questa capacità egemonica che stava assumendo, si accorse chiaramente che il suo limite era quello di essere comunque filosovietico nonostante il nascente berlinguerismo, e che rispetto al movimento operaio non si poteva andare oltre lo Statuto dei lavoratori. Questo comunque all'epoca lo consideravamo un effetto rivoluzionario e ci consideriamo dei portatori ufficiali di grossi contributi perché abbiamo fatto tanti di quei comizi nei cantieri edili e tante di quelle iniziative che è stato tutto più facile arrivare poi nel 1970, l'anno dei contratti, ad avere questa partecipazione corale, questa assunzione di afflato operaio, di autonomia operaia, di centralità operaia che in una città come Roma non nasceva da sé. Per cui il percorso di discussione politica si spostava in avanti, diventava maggiormente internazionalista dentro la rivista del Manifesto, venivi a contatto maggiore con le aree trotzkiste e internazionaliste, e tutto questo arricchiva il tuo bagaglio e il tuo patrimonio e lo commisuravi tutti i giorni con quello che facevi come attività. In questo contesto nasce una discussione organizzata e propedeutica nel gruppo del Manifesto, tutto il '69 ha questa funzione. Nel 1970, mentre c'è il grande sbocco della lotta del contratto metalmeccanico, mentre, essendo lavoratore, avevo già fatto i primi scioperi qui dentro l'Enel e avevo già avuto i collegamenti attraverso il partito con altri segmenti (alla Fiat, alla Fatme soprattutto, che per noi è stata un caposaldo di battaglie per quello che ha espresso, in mezzo agli edili e via dicendo), avevi già un linguaggio appropriato del mondo del lavoro a differenza di molti altri giovani compagni, soprattutto gli studenti che ne masticavano poco e al massimo ne avevano un afflato ideologico, quindi di portare a darsi una mano.

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