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INTERVISTA A VINCENZO MILIUCCI - 11 LUGLIO 2000


Qualsiasi riproposizione della nostra soggettività deve essere all'interno della soddisfazione dei bisogni materiali, e da questo si deve ripartire, attraverso il maggior radicamento possibile negli strati più deboli della popolazione, all'interno di coloro i quali sono sotto la soglia di povertà, dentro ad essa, dentro il lavoro/reddito dipendente, dentro le nuove forme di ricerca di reddito e di libertà che sono le immigrazioni ecc. Dunque, a partire da queste condizioni, per cui lì si deve esprimere questa ricerca di libertà e quindi di comunismo, possa darsi questa natura in sé, questa redistribuzione, questa critica della produzione capitalistica.
Rimane il discorso sullo Stato. E qui c'è la critica matura, che ormai dovrebbe esserci, alla transizione che sicuramente si deve nel passaggio ad una società all'altra attraverso qualsiasi remota soluzione, per affrontamento armato, per scontro finale, per superamento di fatto, per abbandono dei contendenti; per qualsiasi forma essa assuma, il processo nella transizione ad una riproposizione di uno Stato e di un'impalcatura deve essere la nostra critica presente. Riuscire a determinare nuove soluzioni di contropotere nella vigenza ancora del potere costituito borghese costruendo una critica serrata allo statalismo è un altro dei passaggi ineludibili di questa nostra vicenda. Ciò tenuto conto che se non c'è il passaggio, se non c'è l'assioma che al comunismo si arriva attraverso non solo la distruzione dei modi di produzione e riproduzione capitalistici, ma anche attraverso l'abolizione di quelle che sono state le impalcature che hanno dato vita sia ai sistemi borghesi sia ai sistemi del socialismo reale, credo che avremmo commesso l'ennesimo errore. Per cui il passaggio anche qui di critica a ciò che lo Stato dovrebbe essere nell'accezione storica di transizione, cioè la dittatura del proletariato, è una critica serrata: dobbiamo costruire una soluzione in cui la politica è rappresa direttamente dai soggetti reali che si autocostituiscono e costruiscono chiaramente anche la riappropriazione della politica, e quindi la loro forma di autogestione, la loro forma autogestionaria. E la soluzione di successiva transizione non può essere che la democrazia diretta, cioè la possibilità di una rappresentazione, la più collettiva possibile, affinché le forme decisionali siano relative alla quantità di partecipazione via via più spedita, più convinta, più matura, che riesca a creare la soggettività del proprio futuro, del proprio destino. Il discorso che viaggia tra costruire la nuova società ed essere i destinatari del futuro di questa società deve essere un'accezione e un'equazione lineare; senza questa equazione lineare credo che gli errori del passato tenderebbero a riproporsi e, riproponendosi, darebbero vita chiaramente a nuove impalcature, quelle che ogni tanto abbiamo chiamato burocrazia che però, più che burocrazie, sono forme ottundenti dei processi di libertà. Quindi, l'annuncio che noi dovremmo fare nella nostra soggettività e che si esprime attraverso i bisogni deve essere espresso attraverso la riappropriazione della politica e quindi l'abolizione delle forme statuali e delle istituzioni totali che noi abbiamo visto rappresentarsi fino adesso, non dunque la loro perpetuazione.

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