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INTERVISTA A VINCENZO MILIUCCI - 11 LUGLIO 2000


Nel quadro che hai delineato, come pensi che si possa affrontare il discorso sulla soggettività politica? Come è possibile ripensare il discorso dell'attualità del comunismo?


L'esperienza fin qui delineata e vissuta ci porta a creare le condizioni di una riflessione attenta su quello che è stato il passato, e a creare le condizioni affinché le vicissitudini che competeranno alla nuova dimensione tengano conto della frammentazione attuale, pur non diventando questa un alibi. L'abbiamo potuto verificare con la ripresa successiva all'83, quando i centri sociali costituentisi a quell'epoca rappresentavano comunque uno spazio di ripresa dopo la débâcle successiva ai grandi movimenti, dopo la batosta presa dalla reazione borghese, la sconfitta di tutti i processi costituiti. L'esperienza dei centri sociali rappresentava comunque una soggettività vissuta attraverso la ripresentazione di una tematica politica vissuta in termini più leggeri, senza grandi presunzioni di ricostruire percorsi di natura rivoluzionaria in assoluto: essi tentavano cioè di trovare la ricomposizione di un tessuto in questo caso più giovanile attraverso la riconnessione di terreni di solidarietà, di riappropriazione, di dare di sé una rappresentazione più sociale che politica, con questo non diventando meno impolitico quello che si faceva. Ho citato questa storia dei centri sociali almeno dell'avvio, poi strada facendo sono man mano diventati altra cosa, si sono riconnessi alle tematiche prevalenti che hanno saputo ricostituirsi; però, la delusione o l'illusione di quello che c'è stato precedentemente ha comportato, rispetto alla soggettività, un andare un po' più cauti, più con i piedi di piombo rispetto alle ripropoisizioni di grandi tematiche desideranti o riproponenti la vicenda del comunismo. Voglio dire che sicuramente la generazione vissuta durante l'arco di tempo che va dalla fine degli anni '60 alla fine degli anni '80 ha avuto modo ancora di rappresentarsi come aspetto di una scelta di vita riguardo alla sfida nei confronti del capitalismo, vissuta attraverso il postulato di quelli che furono i dettami dell'epoca, la casistica, la cultura ecc. Poi nel frattempo è arrivata anche la caduta del Muro, quanto meno la crisi immediata di quello che è stato il socialismo reale, quindi nell'immaginario collettivo è anche venuta meno la nozione del comunismo, in quanto non era possibile separare le vicende della dimensione dell'affrontamento di una nuova società liberata dal lavoro salariato con quello che era stata la materialità dei processi statuali o costituitisi in chiave alternativa al capitalismo. Quindi, la critica sostanziale ha messo in crisi anche la stessa natura della riproponibilità di una società comunista. Allora, all'oggi da una parte il percorso o quanto meno l'assetto vittorioso del capitalismo in tutte le sue dimensioni, tenuto conto della sconfitta anche dei movimenti operai, dei movimenti antagonisti, ha precipitato in una situazione in cui c'è quasi carta libera per la dimensione capitalistica anche senza la ricerca di un consenso. Quindi, questa negazione del consenso stesso ad una società consumistica e mercificatoria produce sicuramente un assetto di barbarie che dovrebbe oggettivamente essere incompatibile con la possibilità di vivere all'interno di questa natura stessa, quindi riproporre un altro tipo di società. Quale tipo di società? Credo che le dimensioni di natura costituente, di natura relazionale di quello che abbiamo pensato attraverso i postulati teorici e strategici del comunismo siano oggettivamente riproponibili, tenuto conto che da una situazione del genere non può trovarsi nel medio periodo la possibilità che si riproponga una riformabilità del capitalismo stesso. Credo che anche le attuali gestioni di natura socialdemocratica, o tentativi di natura socialdemocratica della gestione capitalistica, diano la misura della irriformabilità di questo sistema. Partendo da questo postulato, la soggettività oggi non so se debba dichiararsi immediatamente comunista, ma sicuramente la possibilità di poter realizzare una attività politica indipendente e fuori dal coro capitalistico non può che muovere attraverso la ripartenza da quelli che sono i valori fondamentali, i valori universali che vengono vieppiù negati; quindi, trovare la ripartenza dagli ultimi, dai sistemi di povertà che il capitalismo ha costruito, e su questo annunciare di nuovo la possibilità, quasi in parallelo con quello che è stato poi lo sprofondamento delle società del socialismo reale. Ciò non dico attraverso la riproposizione di scenari post-comunisti, ma soprattutto con l'annuncio che possa darsi che la barbarie presente non possa che far nascere una ripresentazione dello scenario possibile e augurabile, che viva sotto l'egida di una redistribuzione della ricchezza, di una critica alla stessa produzione di merci, quindi la discriminante è ancora su questo; e che le caratteristiche di questo annuncio societario non possano essere che nella accezione e oggettivazione che il comunismo non può che essere libertario, non possa che annunciare libertà, non tanto rifacendoci ai sacri testi per cui il comunismo è il regno delle libertà, ma sicuramente non possiamo stare sotto quella soglia.

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