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INTERVISTA A VINCENZO MILIUCCI - 11 LUGLIO 2000


In quell'epoca ci fu uno scontro all'interno dei Comitati autonomi operai sul fatto se questo fosse un asse principale o secondario; qualcuno oppose resistenza tenuto conto che la grande epopea dell'occupazione delle case doveva per forza costruire un passaggio onnicomprensivo, non era possibile mantenere l'attività dentro il Policlinico, dentro la Fiat, dentro la CUB dei ferrovieri e fare l'occupazione delle case, abbisognava chiaramente di un quadro così estensivo per arrivare a fare occupazioni in tutta Roma. Questo scontro ha portato ad una decisione ponderata, chi non l'aveva capito e non l'aveva voluto capire proseguisse nelle sue attività, ma non poteva essere impedito a chi aveva capito che quella era l'epopea di poter convergere, fare punto di forza su questo, sciogliersi nella realtà del comitato occupazione case, salvo poi riprendere le fila successive. Questa stessa decisione, più o meno simile, fu presa all'avvento del '77; fu un dibattito molto leggero da una parte, veloce dall'altra, molto intenso e critico alla stessa stregua, ma alcuni compagni compresero questo, altri invece si lamentarono di questo scioglimento nel movimento del '77. Se andavi propalando, andavi scrivendo, andavi sollecitando questo discorso del fine e del mezzo, quindi del mezzo che era contemperato con la stagione politica, con gli obiettivi ecc., dunque se il '77 si configurava come un movimento antagonista effettivo tu dovevi essere partecipe di questo movimento in tutte le sue viscere. Allora tutto questo da una parte di noi fu compreso, altri posero delle resistenze che magari si sciolsero man mano durante l'anno '77 per poi magari riproporsi all'indomani della conclusione dell'anno, anche se poi il '77 dura e va oltre. In questo caso i limiti di queste esperienze in gran parte romane sono quelli della cristallizzazione, della permanenza all'interno dei propri reticoli, se si vuole della non formazione continua che è mancata nei confronti di questo patrimonio di compagni complessivamente della sinistra romana, comprensiva chiaramente anche di quella autonoma. Dunque, l'aver continuato a mantenere all'interno di queste strutture, pur pensate e fatte vivere significativamente, delle riserve: la riserva era anche di carattere piccolo organizzativo, se non quella precedente, che mantenesse inalterata la possibilità della preminenza dell'uno rispetto all'altro. Può aver caratterizzato anche questo i Volsci, probabilmente è stato così, non voglio sostenere che essi siano stati immuni da egemonia organizzativa: normalmente ci siamo riservati il patrimonio di aver creato sì un'egemonia ma dal punto di vista sensoriale, della capacità di comprendere qual era il livello del percorso da seguire piuttosto di creare un indirizzo univoco. E tra l'altro ci si fa critica (mi riferisco sia a quelle bonarie sia a quelle malefiche) di non aver perseguito ciò e di essere degli anti-partito, di essere dei movimentisti, quindi in quanto tali di aver peccato non avendo saputo o voluto contribuire a costruire un percorso più finemente organizzativo che desse luogo alla possibilità di riparare poi alla sconfitta con la S maiuscola che è quella che chiude il ciclo degli anni '70.
In definitiva, nella vicenda romana ci sono delle grosse intuizioni che hanno portato a far vivere in prevalenza il portato dell'esperienza e delle valutazioni di natura luxemburghiana, la preminenza cioè del fine rispetto al mezzo, quindi intendendo per questo i prodromi del fine che sono delle articolazioni soviettiste, consiliari, i fondamenti iniziali della nuova società, i pezzi della democrazia diretta ecc. Quindi, ci sono state queste grosse intuizioni legate all'attenzione che c'è stata nella sinistra romana, di tutta la sinistra operaia, in particolare verso il pensiero e le azioni di Rosa Luxemburg, in critica chiaramente con il leninismo. Dall'altra parte, c'è stato questo peccato, che probabilmente c'è, che spesso la misura non è in grado di saper essere calibrata finemente, come dunque si contempera la vicenda del fine con la vicenda del mezzo. Dunque, spesso sfuma la vicenda del mezzo, lo strumento, sia esso di natura gruppettara o di natura partitica, che in alcuni tempi può essere necessario per accelerare i passaggi e per poter resistere meglio alle successive fasi reazionarie.

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