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INTERVISTA A VINCENZO MILIUCCI - 11 LUGLIO 2000


Come analizzi i motivi politici che portarono alla formazione di Rivolta di Classe, quindi alla divisione dell'autonomia romana rispetto a Rosso e successivamente a fare I Volsci?


I passaggi avvennero successivamente a quello che fu questo punto di avvio e di raccordo dell'assemblea di Bologna del marzo, probabilmente con molta velleità anche, noi giovani, ancora inesperti dal punto di vista della costruzione di una forza politica o una forza di carattere politico, a partire da se stessi, parliamoci chiaro. Il bollettino che ebbe vita per tre numeri non poteva compendiare di per sé la ricchezza complessiva che c'era all'interno di tutti questi segmenti, quindi si decise anche di proseguire per posizionamenti territoriali riaggrumando tutto quello che sul territorio c'era. Questo passaggio ci permise di arrivare a costruire anche i relativi bollettini o giornali locali, uno di questi fu appunto a Roma Rivolta di Classe, che è praticamente il resoconto delle battaglie che si fanno in quest'area, è il resoconto dell'informazione di quelle che sono le componenti dell'autonomia operaia senza a e senza o maiuscole, ed è anche il confronto con gli altri gruppi a cui si indica per via critica una strada di confronto. In questo contesto non si poteva, dovendo affrontare appunto il contesto milanese, non incontrarci con Negri e Rosso, che all'epoca era parte integrante di quella redazione. Il Rosso della rivista, che usciva una volta ogni uno o due mesi, che trova già lì nei numeri del 1973-'74 alcuni nostri articoli e che produce uno sforzo dal '74 al '75 relativo alla possibilità di fare un foglio, molto facsimile a quello che era stato il foglio di Potere Operaio, dunque assume questa veste e se ne fanno alcuni numeri. Si assume chiaramente fin dal '75 anche il nostro contributo a carattere nazionale sulla crisi del riformismo, facemmo nella palazzina Liberty questo discorso anche a proposito della formula 35 per 40 (le 35 ore pagate 40), e immediatamente legato a questo facemmo anche, sempre all'interno, una riflessione nazionale sulla repressione che poi venne pubblicata dai Quaderni di Rosso, sulla repressione qui in Italia, in Europa, come avveniva attraverso l'avvio delle carceri speciali ecc. Il confronto con Rosso è stato sempre molto tribolato, ovvero con la redazione di via Disciplini, che in particolare era in mano a Negri, Tomei, e qui incontrammo anche il primo Bifo con il suo carattere dandista che poco ci azzeccava con i nostri radicamenti, non dico con la nostra serietà ma insomma con un modo e una dizione sicuramente più legata alle lotte dei lavoratori e dei proletari piuttosto che a un pur necessario affrontamento dei temi culturali, dei temi dell'innovazione modernista.
Un contesto di cui spesso ci si picca è questo vizio (che non è dismesso ancora in quegli anni '74-'75) del gruppettarismo, che è l'evoluzione finale dei gruppi che hanno avuto una loro significanza all'interno del nostro paese; di questi ho già detto che hanno supportato (per delega chiaramente) una battaglia storica nei confronti dello stragismo e quindi in definitiva "per la democrazia", anche se pensavamo di combattere per molto altro. Ciò presagendo appunto di poter utilizzare pochi strumenti e poche persone per poter disegnare alcuni propri fini. Il proprio fine lì dentro non era neanche estremamente ben chiaro se non era collimante con una sperequazione da parte anche di quello che poteva pensare Negri all'epoca e che non compiutamente riusciva a scrivere almeno nelle riviste, magari poi si alimentava i libri che lui ha scritto: quello cioè di una possibilità, tutta da dimostrare, che qui in Italia ci fossero i presupposti di un confronto finale con la borghesia. E in questo contesto il forzare i tempi, per quanto attiene Milano riguardo ai tempi di maturazione dell'autonomia operaia interna all'Alfa Romeo, è stato uno dei contrasti più forti che ci ha dato la possibilità poi di arrivare a rompere questa collaborazione alla vigilia del 1976. In questa vicissitudine si situa appunto un ulteriore pezzo della differenza di quelli che tentarono di costruire un percorso lineare, semplice di una formazione politica proveniente chiaramente dalla visione della centralità operaia e dalle caratteristiche della sua autonomia rispetto alla produzione, rispetto al capitale ma rispetto anche a qualsiasi forma di sovradeterminazione. Forse era una velleità, ma del resto bisognava procedere per velleità, perché le costituzioni di qualsiasi altro partito, compresi i partiti che furono definiti rivoluzionari (da quello leninista a quello maoista per non dire anche quello cubano, anche se l'esperienza di quello cubano viene dopo la vittoriosa rivoluzione) avvengono per una forma elitaria, per una forma di autorappresentazione di gruppi estremamente limitati e spesso di gruppi che non avevano se non pochi radicamenti all'interno dei movimenti operai e proletari: avevano delle grosse convinzioni ideologiche, tutto qui.

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