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INTERVISTA A MARIA GRAZIA MERIGGI - 14 OTTOBRE 2000


Io lavoro in un'università dove lavorano anche Bruno Cartosio e Riccardo Bellofiore, da questo punto di vista posso essere contenta, Bruno è andato al centro La Porta, io ho fatto svariate cose con la biblioteca Di Vittorio della CGIL e con l'Istituto Storico della Resistenza, Bellofiore per esempio organizza cose di peso con la FIOM sulla globalizzazione: io contribuirò a organizzare, a fine anno, il convegno per il centenario della Camera del lavoro di Bergamo. Però tutto questo stenta ad incidere sul nostro rapporto con gli studenti, sono cose preesistenti, in qualche modo un po' indipendenti dal nostro essere lì. Infatti, sono cose che facciamo tutti per conto nostro e quasi non ce le diciamo, oppure ce le diciamo se ci invitiamo reciprocamente, ma non diventa l'inizio di una politica universitaria complessiva. E' ovvio che avere dei colleghi di destra antipatici sarebbe peggio che averli di sinistra e simpatici; però ciò non mette in moto un circuito. D'altra parte molti docenti che hanno anche praticato forme e oggetti di ricerca e pensiero molto radicali, non hanno quasi mai nemmeno lontanamente messo in discussione i meccanismi di cui sopra. Cioè, in poche parole io non conosco un caso di un ordinario di estrema sinistra (naturalmente non la farei o non lo farò probabilmente neanch'io, non sto dicendo che "io invece", è proprio un'osservazione avalutativa) che arrivato in un concorso abbia detto: "No, quello che tu stai proponendo è uno che ti 'porta la borsa' e invece prendiamo almeno in considerazione queste persone che io ritengo migliori". Non è mai avvenuto, ma perché? Perché la volta prossima questo non sarebbe più votato e quindi non potrebbe più portare il suo allievo. Non è che nessuno ti punisce o ti licenzia, però se tu una volta fai così esci completamente dal gioco e non puoi più nemmeno aiutare le persone che tu reputi valide. I casi sono talmente numerosi che è persino inutile citarli, comunque tutta la storiografia di sinistra è fatta di "baroni" (termine che non usavo nemmeno nel '68, figurarsi se lo uso adesso, diciamo di ordinari potenti).
Comunque, è ovviamente molto più importante la mancanza di una domanda esplicita degli studenti. Ciò è preoccupante, alla fine poi è anche stancante perché devi continuamente dire "ma in queste teste cosa c'è? cosa vuol dire quel sorriso, cosa vuol dire quel silenzio?": non che uno abbia paura, ma la cosa più brutta del mondo è parlare a vuoto, senza un'interlocuzione.


Nell'ambito degli storici a chi hai fatto riferimento?

Io ho fatto riferimento a Stefano Merli, si fa presto a dirlo. Ho fatto riferimento a Stefano Merli nel momento in cui (potremmo dire con il linguaggio di Althusser) le sovradeterminazioni mi sono sembrate di un peso talmente forte nel decidere i comportamenti, che ho voluto conoscere la complessità e la stratificazione dei fatti. E poi si tratta di una forte passione molto personale per il brulichio, il farsi dei movimenti. Merli è stato quello che mi ha fornito la possibilità di imparare a interrogare le fonti, a partire certamente da domande che sono mie, ma con rigore, con rispetto, cioè lasciando molto parlare la documentazione. Stefano Merli stesso era una persona che si era formata relativamente al di fuori dei quadri dell'università, nel senso che certamente aveva studiato a Milano, però si è laureato a quarant'anni per ragioni proprio economiche, i suoi non potevano e soprattutto non avevano la cultura e la mentalità per sostenerlo agli studi: un operaio degli anni '50 a Milano avrebbe fatto più sforzi per far studiare il figlio di quanto non facesse una famiglia di mezzadri piacentini magari molto più benestanti, perché l'operaio, soprattutto se era comunista, aveva l'idea che la cultura era un patrimonio, non così invece il mondo contadino, almeno quello da cui lui veniva. Quindi, dopo avere perso in giovane età il padre artigiano, ha dovuto lavorare subito tantissimo, però lavorava per L'Istituto (ora) Feltrinelli, faceva schede e cose simili. Per cui è entrato in quel nucleo di persone che in ruoli molto diversi - nel suo caso anche molto esecutivi - hanno costruito questo grossissimo deposito di materiali per la ricerca. Stefano lavorava per l'Istituto Feltrinelli, anche se allora c'era tra Istituto e casa editrice un passaggio che adesso non c'è più, per esempio anche Della Peruta e Cortesi lavoravano lì, Montaldi lavorava invece per la casa editrice. Stefano Merli e Della Peruta hanno fatto per esempio le schede di quei grossi volumi rossi che si trovano se si va in Fondazione e che sono lo spoglio e la descrizione sommaria di tutti i periodici posseduti; quindi, lavori davvero ingrati, dove guadagnavi pochissimo; però era un modo di entrare in prima persona in contatto con materiali rarissimi.

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