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INTERVISTA A BRUNELLO MANTELLI - 6 FEBBRAIO 2001


Dunque, c'era una sfasatura, nel senso che per quanto mi riguardava avevo già questo problema di capire se esistesse una possibilità di mutazione delle cose, il movimento mi interessava molto per quello, poi anche per le cose specifiche. Tanto è vero che c'è una cosa che non ho mai capito e non so neanche quanto sia rilevante, forse però era tipico di quel movimento: per me la differenza tra politico e sindacale è sempre stata una cosa che si poteva concettualizzare storicamente ma che dentro non mi entrava, nel senso che definire la distanza tra lotta economica e lotta politica è dubbio. Di sicuro ti muovi, lotti per motivi di trasformazione che non sono limitati ma che ineriscono poi ai meccanismi, avendo in mente una dimensione fortemente globalizzante, anche troppo magari, allora c'era proprio questa dimensione. Al massimo le concepivo come raffigurazioni tattiche, però che ci fosse poi una differenza qualitativa mi convinceva poco. Quindi, il passaggio forse l'ho avuto un po' prima come percorso di formazione, nel senso che io non mi sono mai vissuto come militante di base interessato all'obiettivo; per questo ad esempio sono sempre rimasto (per citare un'esperienza diversa e successiva) freddissimo rispetto alle proposte verdi sui movimenti a obiettivo singolo, io voglio vedere le cose complessive, cioè rispetto ai movimenti contro le centrali nucleari, se l'obiettivo è non farla mettere là e farla mettere un po' più distante non capisco cosa voglia dire, dovete spiegarmi un minimo di quadro. Ciò è probabilmente anche dovuto a un certo tipo di formazione di fase, che è un po' avvenuta così. Su questo effettivamente la dimensione di costruzione di relazioni orizzontali, di gruppo in fusione come quello del liceo, pesavano molto, perché io pensavo con una certa angoscia al momento in cui il movimento sarebbe rifluito, e allora ripiombi nell'atomizzazione o nel gruppetto, cosa che ancora oggi patisco per il fatto di avere ora il 90% di amici che hanno la laurea, mentre negli anni '70 io avevo un 40% di amici con la laurea, gli altri erano diplomati o operai con la terza media, c'era proprio questa situazione di rimescolamento delle carte che invece oggi non c'è più, si ritorna ad avere fortissime stratificazioni. Come se, per usare una parola eccessiva, il comunismo fosse quella cosa che tu fai quando lotti, non tanto quello che farai quando hai vinto, che è una prospettiva anche questa ovviamente presente: è una modificazione di rapporti umani che per me funzionò sostanzialmente dal '68 fino al '73-'74, poi cominciai a sentire esistenzialmente puzza di setta, non intellettualmente, ma proprio cominciai a sentirmi stretto. Diventava una dimensione di condivisione di valori che a volte erano un pochino forti, cioè voleva dire andiamo tutti a vedere il medesimo film, ma se quello non mi interessa io vado a vederlo per i fatti miei. Infatti, furono anni in cui cominciai a prendere un po' le distanze da Lotta Continua, seppur continuando ad avere rapporti con essa.


Tra gli intervistati c'è chi, come Tronti, dimostra uno scarso interesse per il '68 e il movimento studentesco; altri, come Soave e Gobbi, che pure si sono formati in esperienze politiche precedenti, si sono però mossi all'interno del movimento studentesco, tanto che rivendicano un certo tipo di agire politico dentro le lotte degli studenti, spingendole a determinati passaggi.

Ad esempio, io mi ricordo che uno dei motivi della frizione era proprio il fatto che il Potere Operaio veneto-emiliano con la sua articolazione anche torinese fa uscire La Classe puntando a farlo diventare anche il giornale dell'assemblea operai-studenti, e allora lì c'è la forzatura, la reazione a un intervento esterno. Poi invece l'assemblea operai-studenti era tutta insieme, io l'ho chiamata Lotta Continua ma non era l'organizzazione, era lo slogan, era la testata dei volantini. Di quella sera di via Passobuole mi ricordo questo tallonamento tra Vesce, un quadro studentesco romano che si era trasferito qua e poi è rimasto in Lotta Continua, e poi il medesimo Sofri, era tutto un gioco di virgole per tentare di non spezzare e però di evitare quella che appariva una prevaricazione per gli uni e appariva un'estensione del movimento per gli altri.

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