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INTERVISTA A BRUNELLO MANTELLI - 6 FEBBRAIO 2001


Allora a Torino c'erano tre opzioni sostanzialmente: una era quella del PSIUP di Pino Ferraris, che già aveva sviluppato a partire dalle esperienze biellesi una linea di intervento e di inchiesta operaia nelle fabbriche, e che rispetto al movimento studentesco ebbe però un atteggiamento abbastanza chiuso. Io tra l'altro allora ero ancora iscritto, presi poi le distanze dal PSIUP proprio nell'estate del '68 dopo l'invasione della Cecoslovacchia, quando appunto il PSIUP si schierò con l'Unione Sovietica: come responsabile della federazione giovanile di Alessandria feci un volantino antisovietico e ci fu uno scontro abbastanza pesante in federazione, a quel punto dissi "questa è un'altra casa, non mi interessa", poi rimasi ancora iscritto un anno ma senza rilevanza. Dunque, c'era l'ipotesi del PSIUP che però fu singolarmente miope, nel senso che Pino Ferraris disse che la funzione del movimento studentesco era tirare fuori i quadri per il movimento operaio, per poi aumentare la loro inchiesta: il che non mi quagliava, nel senso che nel fare una realtà organizzata non è che l'unico obiettivo può essere tirare fuori dieci persone. Poi c'era l'ipotesi che fecero alcuni ex Quaderni Rossi (i due Lanzardo) della Lega operai-studenti, che di nuovo mi sembrava una sede separata. Infine, c'era l'ipotesi appunto di intervento come movimento, che era quella che portava avanti la maggioranza del gruppo dirigente del movimento studentesco: mi sembrava quella più ragionevole, era quella dell'intervento di massa. Infatti, andammo nel '68 davanti a Mirafiori quando ci furono i primi scioperi, in quel momento c'era l'ultima ondata immigratoria che portò a un riempimento della Fiat di Rivalta e della zona lì intorno, e poi anche di Mirafiori. C'era l'idea di intervento diretto non senza una serie di ingenuità, per esempio c'era allora una prevalenza (tra di noi di Torino in particolare) di una logica molto antiautoritaria che spesso prescindeva dalle dimensioni materiali: non a caso un testo fondamentale che ebbe una funzione importantissima per molti di noi e per me in particolare, fu il testo di Deutschke "La ribellione degli studenti", cioè l'idea del movimento antiautoriatrio che si allarga e modifica la società. Io mi ricordo alcuni volantini abbastanza buffi in cui si diceva "non chiedete denaro ma chiedete potere". Dopo di che quello che contava era veramente l'intervento di massa mediato (come del resto è la storia comune nel nord Italia) non dalla FIOM che era estremamente restia ad aprirsi, cioè di un operaismo che spesso era molto di chiusura, quanto da giovani quadri della FIM, che era un altro pezzo di movimento cattolico liberale, allora diretto tra l'altro da Macario a Milano, con Carniti che era il suo vice, qui a Torino c'era Serafino. C'erano anche vecchi personaggi come Cesare Del Piano, un scissionista moderatissimo che poi si radicalizza. Del Piano fu uno che visse la scissione della CISL e il passaggio poi alle ACLI, avevo letto alcuni suoi interventi del '51 ferocemente anticomunisti, poi però conobbe un'evoluzione che lo portò a coprire questa FIM che puntava ad aprirsi. Allora conobbi personaggi come Gianni Vizio, Adriano Serafino che a quel tempo era abbondantemente giubilato; ci fu proprio l'anello di discussione, "voi venite autonomamente, parliamone però, troviamo delle forme di collaborazione". In realtà, al di là delle sciocchezze che stavamo scrivendo sui volantini, ciò che contava era che tra gli operai c'era questa rottura della barriera sociale: si trovavano ai cancelli dei giovani, diversissimi da loro, vestiti in modo completamente differente, molte donne (cosa che evidentemente ebbe un impatto di vario genere), che alle 4 del mattino erano lì davanti e dicevano "siamo con voi". Ciò rispetto a un settore di classe operaia giovane, spesso a scolarizzazione relativamente alta: in quell'ondata lì dei ragazzi del Sud che arrivavano al Nord molti avevano la terza media e non mancavano i diplomati, quindi non era l'immigrazione dei semianalfabeti o quasi, erano già ragazzi che avevano fatto un'esperienza scolastica significativa. Questo in qualche modo mise in moto dei processi molecolari, in quella fase abbastanza limitati, che però sarebbero quasi spariti successivamente. Ci fu poi un altro passaggio significativo che era il ritorno dall'immigrazione in Germania di quadri operai trentenni o trentacinquenni che avevano già fatto alcuni anni là e che erano comunisti di formazione al paese, che avevano portato l'esperienza del movimento socialdemocratico e che quindi avevano portato una carica radicale dicendo "vogliamo che anche qui sia come in Germania, e quindi vogliamo il comunismo", che era una cosa significativa. C'era dunque questa esperienza fatta fuori, dicevano: "là il sindacato è forte, quando scioperiamo ci paga una parte del salario, contratta con il padrone, deve essere così anche qua", e lo rileggevano attraverso una tradizione comunista che si portavano dietro; molti erano pugliesi, era una filiera che allora funzionava.

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