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> Percorso di formazione politica e culturale e figure di riferimento
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(pag. 13)

> I nodi della politica e dell'organizzazione
(pag. 14)
INTERVISTA A BRUNELLO MANTELLI - 6 FEBBRAIO 2001


Facendo un rapido conto, tra quelli che conoscevo io ero l'unico figlio di un piccolo impiegato, di figli di operai neanche uno, qualcuno c'era al Politecnico, però a Lettere proprio no; anche perché a Lettere allora si entrava unicamente dal liceo classico, per cui questa era una barriera ulteriore. Io tra l'altro avevo fatto il liceo scientifico, anche questo per evidenti motivi di estrazione sociale, nel senso che il liceo classico appariva, in particolare in provincia, una cosa che facevano i figli di quelli benestanti; il liceo scientifico invece diventava un collettore di giovani maschi (la mia classe era l'unica con due donne, la prima, poi l'anno dopo ne sono arrivate di più) di ceti medio-bassi che puntavano a salire, comunque sembrava più concreto, più spendibile. Quindi, mi iscrissi al liceo scientifico, dopo di che mi accorsi arrivato al terzo anno che a me interessavano sostanzialmente storia e filosofia, anche grazie al mio insegnante che poi era un personaggio significativo, era una giovane donna, allora appena laureata, che poi fu consigliere regionale in Piemonte e adesso è tornata a insegnare. A questo punto mi sono trovato in questo dilemma di non potermi iscrivere a Lettere, allora ho fatto greco in un anno e ho poi dato la maturità classica a settembre e quindi sono riuscito a prendere la seconda maturità che poi è identica, basta togliere un po' di matematica e metterci il greco, almeno allora era così, e quindi mi sono iscritto a Lettere. Io e un altro compagno di Pinerolo eravamo gli unici due che avevamo estrazioni sociali medio-basse, non operaie ma quasi, e questo era impressionante.
Dunque, c'è poi tutta l'esperienza del movimento studentesco con due logiche: una, il problema dell'autorganizzazione e del potere dal basso e la costruzione di modelli di sapere alternativi, cioè era una situazione in cui di fatto si imparava molto di più per trasmissione orale che leggendo su un libro, le conoscenze circolavano, questo per tutto il '68; e poi la dimensione fondamentale del quadro internazionale, cosa che mi è rimasta, quando io leggo un giornale leggo prima le pagine internazionali che il resto, c'era una grossa attenzione costante per ciò che avveniva in Vietnam ed in giro. Allora, a Torino è chiaro che in questo quadro una serie di persone hanno giocato un ruolo importante per chi, come me, aveva vent'anni: sicuramente Guido Viale, che è rimasto il leader ed il personaggio più significativo, insomma ci sono un po' i personaggi storici, Luigi Bobbio, con un carattere meno teorico e più operativo, Vittorio Rieser. E poi una figura importante a Torino fu quella di Sandro Sarti, che era un valdese come molti altri, c'è questa presenza importante che Torino ha avuto di un pensiero cristiano radicale che era altra cosa rispetto ad altre esperienze, io ormai non ero già più cattolico, però questo era un tipo di intransigenza che mi affascinava. Sandro Sarti era più anziano di me, credo che allora fosse già un trentacinquenne, e ad un certo punto si assunse come compito quello di dar vita ad un centro di documentazione sulle lotte internazionali dentro l'università occupata quando lo era, se no fuori, che ogni giorno per alcuni mesi pubblicò un bollettino su cosa capitava, sul movimento studentesco in giro. Cominciammo ad usare i mezzi di comunicazione prendendoci i telefoni della presidenza e telefonando a Berkley piuttosto che a Belgrado piuttosto che a Parigi. E poi c'era ovviamente il Vietnam. Dunque, primo c'era l'autorganizzazione e secondo la convinzione che fosse possibile in qualche modo cambiare le cose con una forte dimensione volontaristica, cioè un movimento di massa dal basso che si organizza può cambiare il mondo. Questo era anche il tipo di lettura che noi davamo del Vietnam, non importava che fosse errata o parziale, era quella, e così anche della rivoluzione culturale cinese; anche se poi una parte di noi erano magari più interessati, quando si guardava il Vietnam o la Cina, alla dimensione del movimento che alla dimensione poi delle proposte ideologiche che venivano, anche se finché ci fu il movimento studentesco universitario le differenze erano abbastanza poco significative, nel senso che queste emersero un po' dopo. Un'opzione filocinese a me e a molti altri francamente non interessava, proprio perché appunto ci sembrava più interessante una dimensione movimentistica di quel genere più che una dimensione nuovamente di partito, altri la pensavano diversamente. Grosso modo una volta sviluppatosi il movimento il problema che ci siamo trovati di fronte era come muoversi, se rimanere dentro l'ambito universitario o no: io ero tra quelli che pensava che fosse opportuno, per orientamento politico e per letture, puntare su una relazione diretta con gli operai, e non tanto nella forma di costituire organizzazioni particolari quanto piuttosto puntando direttamente.

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