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INTERVISTA A BRUNELLO MANTELLI - 6 FEBBRAIO 2001


Credo che qui si tratti di riprenderlo in blocco, e la dimensione di fondo non è tanto, credo, il fatto che il movimento operaio abbia mantenuto fermo il valore del lavoro oppure il rapporto con lo Stato, perché mi chiedo quali altre alternative storicamente fossero possibili; quanto il fatto che il movimento operaio, nel passaggio alla Seconda Internazionale, sia stato sostanzialmente nazionalizzato, nel senso che in realtà noi non capiamo nulla dei movimenti operai del '900 se non teniamo conto delle storie nazionali. Tanto è vero che quando abbiamo costruito questa "Enciclopedia della sinistra europea", appena uscita, ci siamo trovati di fronte all'esigenza di mettere insieme delle biografie, una parte problematica, delle parole-chiave, degli eventi, però una parte estremamente rilevante del libro è dedicata alle monografie nazionali. Il problema è che il movimento operaio è stato travolto nel processo di nation building, nel processo di costruzione degli stati nazionali, e quindi si è così strutturato dopo la Seconda Internazionale e poi con la Seconda sopravvissuta ma di fatto anche con la Terza: anzi, di fatto il paradosso tragico è stato che la Terza Internazionale è diventata l'Internazionale di uno Stato, cioè quella che era nata per superare la Seconda si è trasformata nell'organo (schematizzando e rozzamente parlando) di uno Stato, con la fusione che c'è stata tra politica estera dell'URSS e politica dell'Internazionale a partire dalla metà degli anni '30. Quindi, il problema credo che sia quello. Allora, se c'è un possibile percorso di ricostruzione che mi viene in mente, è qualcosa che assomiglia alla Prima Internazionale, non tanto la sua dimensione gildista o di autorganizzazione perché, come scriveva qualche tempo fa un collega tedesco, l'idea dell'organizzazione mutualistico-cooperativa dei lavoratori si regge unicamente a partire da forti differenziali salariali, nella classe la fanno quelli più forti, e sul fatto che poi ci siano le donne che sostanzialmente fanno il lavoro di riproduzione e stanno zitte: per fortuna le donne oggi non stanno zitte e rifiutano di assumere quel ruolo lì, per cui mi sembra improponibile. Invece, quella che mi sembra proponibile è l'idea della Prima Internazionale come rete di diverse e complesse organizzazioni, come organizzazione reticolare che salta i livelli nazionali. Forse l'aspetto positivo della globalizzazione è questo, il far deperire le gabbie nazionali e statuali, quindi rende ipotizzabile un'organizzazione del movimento operaio che abbia una rete che copre territori diversi. Già sul piano continentale credo che ci sia un ritardo enorme e non si capisce perché una struttura organizzativa, anche a livello di partiti esistenti, che si chiama Partito Socialista Europeo debba esistere a Strasburgo e non nelle realtà, o un sindacato debba esistere sulla carta però poi di fatto non esistono coordinamenti generali, anche se in parte si cercano di fare questi discorsi. Il problema va ben oltre i confini dell'Europa. Quindi, in realtà quel modello lì forse potrebbe offrire degli stimoli, possibilmente bruciando tutta una serie di cascami e di derive ideologiche per cui che uno sia un comunista o socialista di sinistra o un socialdemocratico a questo punto mi sembra indifferente, perché tutte e tre queste opzioni (io amo molto la seconda, l'austro-marxismo ecc.) mi sembrano comunque opzioni da superarsi.

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