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INTERVISTA A BRUNELLO MANTELLI - 6 FEBBRAIO 2001


Questo però avvenne successivamente, nel senso che nei primi numeri una cosa importante fu la riproposizione degli IWW come esperienza storica e di aggregazione operaia americana; allo stesso tempo Bologna portava avanti il discorso su Marx e la moneta. In un periodo successivo vengono fuori i temi di cui parlavi tu, quindi il discorso sui trasporti.


Nel numero 1 e 2 noi non c'entriamo, sono quelli con Cartosio, mentre noi ci entriamo con il 3 e 4 e poi con il 5. Poi ci fu una fase di forte collaborazione dal 3 e 4 al 9 e 10; con questi numeri ci fu una contrapposizione molto secca nel momento di elaborazione tra chi sosteneva la sconfitta radicale della vecchia composizione, e quindi l'esigenza di passare oltre, che è il ragionamento sulla moneta che facevano Berti e Gori trattando appunto di economia, e invece l'insistenza sull'importanza della memoria di classe che invece portavamo avanti noi, con una certa intesa con Bologna e con i milanesi.


Quali sono stati i tuoi percorsi successivamente a Primo Maggio?


Successivamente a Primo Maggio io ho poi mantenuto un rapporto di collaborazione con Il Manifesto, con pezzi di riviste, non riesco a trovare una collocazione politica adatta e ho anche qualche dubbio che abbia qualche senso oggi. C'è attualmente uno stato di frantumazione, la chiusura di una serie di spazi politici, ciò che è nato dalla frattura del PCI è un qualcosa con cui si può collaborare ma non c'entro niente, né con i DS né con Rifondazione c'entro alcunché, per il loro tipo di cultura e di pratica politica. Per cui occupando un ruolo intellettuale (sarebbe evidentemente diverso se fossi un metalmeccanico), forse il modo migliore di fare politica in questa fase è mantenere rapporti con vari pezzi della sinistra, fossero i comitati autorganizzati all'epoca del governo Berlusconi, fosse qualche rivista come Nuvole, tanto per fare un esempio, o Il Manifesto oppure altre, questi mi sembrano spazi in cui puoi dire delle cose. Dopo di che forse per una persona che di mestiere fa lo studioso la cosa migliore è poter parlare con tutti senza farsi identificare con nessuno, puntare ad essere un elemento di raccordo è molto velleitario, però laddove sia possibile questa cosa si può fare. E' ovvio che questo comporta una condizione sociale di privilegio, cioè passare il tempo a studiare, se avessi fatto il metalmeccanico, il droghiere o anche l'insegnante forse sarebbe più produttivo infilarsi in un'organizzazione, che magari si condivide al 30-40-50% ma si rimane dentro. Per esempio, la scelta che ha fatto il mio amico Cosimo Scarinzi con la CUB mi sembra una scelta di grande dignità e di grande senso, perché sta costruendo bene le cose, infatti più volte mi ha chiesto di dargli una mano in conferenze e va benissimo. Questa è un'ipotesi.


Nella tua professione quali sono gli storici che hanno contribuito alla tua formazione e che hai come punti di riferimento?

Per fare un riferimento banale, il Marx de "Il 18 brumaio" è una lettura fondamentale, tra l'altro per chi, come me, si occupa di fascismo: mi affascinano molto le spiegazioni bonapartistiche del fascismo perché lì c'è proprio uno sviluppo, continuo a pensare che ci sia una chiave significativa. Poi direi molto Tim Mason tra le persone che direttamente hanno avuto un ruolo, e alcuni studiosi tedeschi: tra i viventi cito dei personaggi come Mommsen, per il tipo di interesse professionale che ho ma anche per il fatto che in qualche modo si muovono all'incontro tra Marx e Weber che mi sembra un punto fondamentale per riuscire a fare lo storico oggi. In Italia cito Enzo Collotti: io sono allievo di Nicola Tranfaglia, gli voglio molto bene, però onestamente lui non è uno studioso che fa una scuola, malgrado ti dia molte idee.

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