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INTERVISTA A BRUNELLO MANTELLI - 6 FEBBRAIO 2001


Quello che io vivo dopo è una sorta di irrigidimento, diventava proprio una specie di etica, per cui se tu sei del movimento, ma a questo punto in realtà dell'organizzazione, comunque se sei della sinistra extraparlamentare allora devi essere così, perché c'erano una serie di modelli molto rigidi, che cominciavano a diventare un po' settari. Per cui la comunità autocostituita diventa proprio una comunità che per resistere si ingabbia dentro le proprie regole, un processo magari inevitabile in certi anni che però sentivamo in modo forte. Ci sembrava necessario trovare un punto di riferimento esterno anche perché una serie di irrigidimenti dei gruppi sembravano non lasciare spazio a un pensiero minimamente che uscisse dai reciproci schemi, in questo senso Primo Maggio ci sembrava un'esperienza interessante.


I primi articoli a Torino di Primo Maggio sono sull'inchiesta alla Fiat; in Lotta Continua c'era stata l'esperienza di un bollettino che era una forma di inchiesta in parte sulle condizioni operaie delle lotte e in parte anche sull'organizzazione del lavoro e sul sindacato, ne sono usciti una quindicina di fascicoletti. Questo bollettino era un po' il tentativo di fare una forma di inchiesta sulla fabbrica più che un'inchiesta operaia, come anche i primi articoli usciti su Primo Maggio erano sull'organizzazione del lavoro alla Fiat (uno era di Revelli e poi ce n'era qualche altro) che poi erano culminati nel libro di Deaglio. Invece, come discorso di approccio ad una storia diversa e militante, secondo te Primo Maggio cosa ha rappresentato?

Intanto ha rappresentato due cose: da un lato un tentativo significativo di rompere un pensiero stratificato che sostanzialmente espungeva tutte le minoranze, cioè tutta l'area di minoranza che è riuscita in qualche modo ad avere un po' di spazio era il luxemburghismo con Basso, ma c'era già prima, tutte le altre no. Ciò non per fare il culto degli sconfitti, ma per dire che il movimento operaio è più ampio. L'altra cosa è l'attenzione alla dimensione della classe come elemento materiale, e poi anche alla dimensione estera, Stati Uniti, Germania ecc., in un contesto in cui come eredità della vecchia chiusura diciamo nazionalpopolare anni '50-'60 tipica del PCI, per cui l'importante è l'Italia, si era passati ad una sorta di esaltazione dell'anomalia italiana in modo francamente poco convincente, cioè "noi siamo un paese avanguardia rivoluzionaria", cosa in cui credevano anche molti stranieri. Forse siamo un paese che ha contraddizioni da paese arretrato e paese avanzato insieme e questo lo rende così complesso, però da qui a dire che siamo l'avanguardia ce ne corre. L'idea era quella di aprire, questa doppia rottura era la dimostrazione che si poteva fare una rivista che poteva essere letta dagli armaioli, cioè dai gruppi armati, fino ai riformisti, in realtà per un certo periodo ebbe quel tipo di circolazione lì. Quindi, in qualche modo dimostrava che era possibile fare dei discorsi comuni e rompere una serie di schemi. Poi aveva questa dimensione della storia militante di cui si teorizzava la rigorosità tra l'altro, perché non era l'idea di andare a fare la storia a tesi, anzi dietro c'era un lavoro di scavo: l'idea era "andiamo a prendere aspetti non considerati, complessifichiamo il quadro", che mi sembrava essere una delle ambizioni maggiori. E' chiaro che bisogna fare un'analisi di quadro ma l'importante è ricordarsi che il quadro è fortemente complesso. Questo forse era un po' anche uno dei motivi per cui poi la rivista è rimasta tale, anche se ci fu successivamente il tentativo di costituire una sorta di articolazione politico-sindacale nel settore trasporti che però poi non funzionò, non portò ad alcunché. Non si riuscì a far incastrare due o tre pezzi, il collettivo autonomo aveva l'acqua alla gola, perché poi tutto il dibattito né con lo Stato né con le BR devastò tutto da questo punto di vista, i livelli organizzativi esistenti erano fragili. Comunque, ci fu un tentativo di mettere insieme dei pezzi, secondo quella che era l'intuizione di Sergio che continua a scrivere di questa centralità del trasporto.

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