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INTERVISTA A CLAUDIO GREPPI - 23 SETTEMBRE 2000
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Qual è stato il tuo percorso di formazione politica e culturale e di inizio dell'attività politica militante?


Io vengo da una famiglia di alta borghesia, ad un certo punto mi sono iscritto alla facoltà di Architettura, che era abbastanza un covo di sinistra. Forse l'inizio fu il gennaio '59, quando Firenze fu travolta da quelli che si chiamarono "i fatti della Galileo", cioè tre giorni di scontri in tutto il centro della città per la difesa dell'occupazione; poi su questa cosa ci abbiamo riflettuto parecchio, mi pare anche di averci successivamente scritto su Classe Operaia. Era una di quelle che erano le ultime lotte degli anni '50 ma anche le prime degli anni '60, come si suol dire, dove era straordinaria la cultura dello scontro di piazza che portavano i vecchi operai comunisti, o meglio mica tanto vecchi, erano quarantenni, evidentemente invece noi eravamo giovani, ventenni, studenti che capitavano lì un po' per sport. Questi operai arrivavano con i treni da Empoli per esempio, dandoci proprio delle direttive precise: "Prima cosa, spaccate tutte le macchine fotografiche che vedete", insomma queste regole del comportamento operaio degli anni '50; e poi le barricate, il lancio dei sassi (in cui ero particolarmente negato). Comunque fu un'esperienza molto bella, durò tre giorni, si andava a casa poi si ritornava lì: in qualche modo è stato il battesimo politico, io non ero iscritto a niente in quel momento.
Poi ci fu una specie di reclutamento nel Partito Socialista di allora, nella Federazione Giovanile che era di sinistra: c'erano i carristi come si diceva a quel tempo, ma c'erano anche quelli che si raccoglievano sotto questa strana etichetta della corrente bassiana (da Lelio Basso), c'erano un po' di amici che poi erano gli stessi che io conoscevo a Torino, tipo Rieser, Mottura, Soave, persone che io avevo già conosciuto ad Agape, in ambienti valdesi. Da lì poi io mi sono proprio iscritto nel Partito Socialista nel '59, un po' per l'influenza appunto di queste vicende fiorentine e un po' per la conoscenza con questi compagni torinesi, da cui poi venne la conoscenza con Panzieri, che è stata una cosa abbastanza importante, mi pare che avvenne nel '60 o '61. Anche lui lo incontrai ad Agape, dove tra l'altro c'erano questi percorsi incrociati: io vi andavo perché ero di origine valdese e dunque faceva parte delle tradizioni famigliari, lì incontravo queste novità, questi socialisti, queste cose un po' fuori dal mio mondo di nascita, e quindi uscivo dall'ambiente valdese; viceversa Rieser e Mottura, che venivano da altre cose, ad Agape entravano dentro l'ambiente valdese, dunque il nostro percorso era perfettamente simmetrico. Tra l'altro in una di queste occasioni ci fu Panzieri, l'ho conosciuto, poi è venuto varie volte qui a Firenze.
A quel punto era il secondo anno dei Quaderni Rossi e ho cominciato ad andare a Torino quasi regolarmente ogni due o tre settimane. C'erano queste redazioni dei Quaderni Rossi che erano allucinanti, nessuno parlava, c'era un clima molto teso. Però, io lo guardavo venendo da fuori, vedevo queste strane persone come Romano Alquati che ho conosciuto lì, Toni Negri poi arrivò anche lui più o meno nello stesso periodo in cui c'ero io. Si capiva che c'era un'attesa di cose molto interessanti, salvo che invece poi nella realtà quello che succedeva lì era squallidissimo, noioso proprio, riunioni di silenzi. Ho fatto in tempo a scrivere sul terzo numero dei Quaderni Rossi uno dei primi articoli che mi è capitato di fare, una cosa che doveva essere un po' un contributo che veniva dal fatto che ero studente di Architettura e che quindi dovevo rappresentare in qualche modo quel tipo di cultura, da discussioni fatte in quel periodo lì con Romano, con Mario Tronti, con Asor Rosa. Era venuta fuori questa idea divertente di lanciare la Karl Marx Hof di Vienna come il modello di una progettazione, di una cultura architettonica a uso operaio, il punto di vista operaio a quel tempo era il paradigma di tutti i punti di vista, Asor Rosa in quel momento lì fece "Scrittori e popolo". Quindi, c'era questo articolo che fece in tempo ad entrare nel terzo numero dei Quaderni Rossi, si chiamava "Produzione e programmazione territoriale" e finiva appunto con la Karl Marx Hof come la fortezza operaia, il progetto degli architetti che si riconoscevano in queste nuove idee, totalmente sganciate da quello che invece nel frattempo faceva il Movimento Operaio.

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