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INTERVISTA A ROMOLO GOBBI - 14 DICEMBRE 2000
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Da buon storico materialista inizio dicendo che l'individuo è collocato nella società in cui vive. Mentre l'esperienza operaista è precedente, praticamente finisce con Gramsci, quindi negli anni '20, la raboceia opposizia (opposizione operaia) venne sciolta da Lenin, la Kollontai divenne ambasciatrice in Finlandia credo, quindi l'esperienza operaista con questi personaggi si chiuse. Perché negli anni '60 a Torino c'è un revival operaistico? La domanda è questa. Intanto c'è una continuità teorica, nel senso che soggetti determinati (poi dirò dei nomi) portano e conservano la memoria, la teoria e i valori dell'operaismo, e non sono dentro il Partito Comunista, anche se si sa che lì vinse l'ala degli ordinovisti, cioè quelli che Lenin accusava di essere operaisti, di essere anarcosindacalisti. Ad esempio quando si rivolse a Terracini dicendo che a Torino c'è stato qualcosa di anarcosindacalista ma niente di marxista. Chi conserva parte di questi valori? E' una parte del Partito d'Azione, la sua sinistra che si chiama Vittorio Foa, che durante il fascismo, pubblica un quaderno di Giustizia e Libertà sull'Ordine Nuovo e sui consigli, e poi divenne socialista e vicesegretario della CGIL. Vi è anche un altro soggetto di origine azionista, Trentin, figlio del Trentin azionista, e divenne vicesegretario della CGIL. Quindi, furono i due vicesegretari della CGIL che nel 1960 o '61 si rivolsero a Raniero Panzieri, che rappresenta l'altro filone socialista; Panzieri e Libertini i quali avevano teorizzato le tesi sul controllo operaio. C'è poi questo polo internazionale che è stato rappresentato dalla Yugoslavia e basta. Quindi, è un filo flebile, non ci sono altri, sono quelli; e sono soprattutto quei due vicesegretari che puntano a realizzare in Italia una qualche forma di controllo operaio. L'operaismo ha vinto perché è riuscito a far fare al sindacato i consigli di fabbrica, anche se poi sono stati svuotati. Allora, come potevano due vicesegretari della CGIL ottenere questo risultato se non facendo marciare l'esperienza con gambe più giovani e comunque rendendo la cosa più evidente, dal momento che non potevano loro (in nome di chi?) far passare questa cosa. C'è stato dunque questo liaison Panzieri-Foa-Garavini e l'idea di fare i Quaderni Rossi, questa è la base soggettiva portante di questi valori.
Dall'altra parte la società italiana di quegli anni stava vivendo il boom economico, cioè una fase di reindustrializzazione. Gli anni del boom economico produssero una crescita vertiginosa, il miracolo italiano di industrializzazione. La Fiat fece Rivalta, si estese a Carmagnola, costruì stabilimenti da tutte le parti, nacque il polo elettromeccanico. Ci fu questa situazione di banale consumismo che il capitalismo mondiale aveva già superato: in Italia i frigoriferi, le automobili, il consumo di massa di questi beni durevoli arriva in quegli anni lì. Allora, cosa succede secondo me? Che ricreandosi le condizioni dell'industrializzazione dei primi anni del secolo, è stato possibile che individui che avevano nella loro memoria questi valori cogliessero questa occasione per proclamare una qualche preminenza della classe operaia, perché la classe operaia in quegli anni era in espansione ed era protagonista. Congiunti questi fattori con la società veniamo fuori anche noi, prodotti di questa stessa società, cioè coinvolti in questo fenomeno vistoso di crescita operaia. Quindi, scatta tutta quella sequela di entusiasmi, la crescita entusiasmante della classe operaia ci porta ad essere solidali con essa, ad auspicare una trasformazione della società in maniera radicale, in cui la classe operaia sia protagonista.
Adesso arriviamo a noi, poveri tapini che veniamo soggiogati dal fenomeno sociale e veniamo indottrinati e strumentalizzati da chi invece aveva delle idee più chiare, anche se penso che nemmeno loro sapessero bene dove sarebbero andati a finire, ma avevano questi valori in tasca. Noi come veniamo fuori? Siamo il prodotto di una società chiusa, che è Torino, tipico esempio: se uno volesse in tutto il mondo indicare una società chiusa, Torino è la più rappresentativa. Quindi, apparteniamo ad una classe media, piccolo borghese, caratterizzata da questa chiusura mentale. Ci sono invece degli individui che per ragioni genetiche o culturali si vogliono ribellare, si dice che Torino è la culla ed il covo di sperimentazione, in realtà secondo me è la reazione alla sua chiusura: è talmente chiusa che uno a un certo punto deve esplodere. Allora, vengono fuori le punte critiche e le punte polemiche nei confronti della società, che magari in una società più permissiva non verrebbero fuori.

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