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INTERVISTA A FERRUCCIO GAMBINO - 10 GIUGNO 2001
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Qual è stato il tuo percorso di formazione politica e culturale e l'inizio della tua attività militante?


Sono nato nel 1941 in una famiglia di viticoltori in un paese dell'Alto Monferrato, dove ho vissuto fino a 11 anni. Alle elementari imparavamo l'italiano come s'impara una lingua straniera. Dal paese i maschi partivano o per servire nel regio esercito o per emigrare oltreoceano. Erano rari i giovani del paese che si avventuravano nel triangolo industriale, Genova, Milano e Torino, città che sono pressoché equidistanti dall'Alto Monferrato. Le giovani se ne andavano soltanto se si sposavano altrove. Dopo la Seconda guerra mondiale, alcuni dei giovani che avevano in qualche modo disubbidito alle varie autorità hanno preso il coraggio a due mani e sono andati a Torino e a Genova, pochissimi a Milano, sfidando le leggi di allora sulla residenza e ubriacandosi di lavoro. Tra gli undici e i quattordici anni sono vissuto nella periferia torinese, dove ero stato mandato a studiare. Erano gli anni più democristiani della storia italiana. Nella periferia torinese, ho cominciato ad ammirare le scritte che c'erano sui muri, tra cui un "W Togliatti" in rosso fiammante. Non so se sia una leggenda metropolitana, ma anni dopo girava la voce che si trattava di una vernice tanto indelebile che il regime democristiano aveva dovuto abbattere il muro per eliminare la scritta. Quando andavamo in passeggiata verso Torino infilando viale Regina Margherita, era più o meno chiaro a tutti chi era costei; poi arrivavamo in viale Gramsci e di Gramsci nessuno sapeva niente.
Sono tornato in famiglia a 14 anni, quando ho cominciato il ginnasio come pendolare tra il paese ed Asti. In quegli anni ho concluso la mia pace separata con il cattolicesimo e mi sono avvicinato alla sinistra. Al ginnasio era mia insegnante la professoressa Elda Jona, che era stata perseguitata sotto le leggi razziali del fascismo e che per un soffio era sfuggita alla cattura degli ebrei astigiani nel 1943; i suoi genitori morirono in campo di concentramento. Elda Jona non accennò mai al dramma vissuto nella sua giovinezza, ma noi studenti ne avevamo avuto sentore e ammiravamo la sua discrezione e la sua apertura nei nostri confronti. Di sua sorella Enrica, che era stata internata in campo di concentramento, lessi il diario di prigionia attorno al 1956. Fui così indotto a riflettere sull'ordine di grandezza della barbarie del ventesimo secolo.
Fondamentale fu in quei cinque anni un gruppo di discussione informale ma intensa. Eravamo pochi compagni di classe e la figura di spicco era Carlo Valpreda, più giovane di me di un anno, che sarebbe morto a ventisei anni dopo una lunga malattia, alla vigilia del movimento del '68. Fin dalla quarta ginnasio Valpreda mi introdusse alla lettura del giovane Marx, oltre che di Freud, e alla storia del socialismo. Proprio quando Carlo e io cominciavamo a pensare di aderire alla Federazione giovanile comunista (FGCI), scoppiò l'Insurrezione ungherese. Anche per Valpreda e per me, come per tanti altri giovanissimi che si affacciavano al mondo della sinistra, l'invasione dell'Ungheria fu una cartina di tornasole. Poco dopo scoprimmo che nei campi sovietici le rivolte e le repressioni nei primi anni Cinquanta non erano menzogne borghesi. Capivamo con sgomento che non avremmo mai potuto iscriverci al PCI; né al PSI di Asti, nel quale - a nostro giudizio - si annidavano posizioni forse più stantie di quelle del PCI, dove c'era pure qualche figura di grande talento, in particolare tra gli attivisti che agivano tra i contadini poveri e i mezzadri. Ma si poteva essere dentro il movimento operaio senza aderire a partiti di massa? Allora credevamo che soltanto a costo di liberarci dell'entrismo, come si diceva allora, la sinistra italiana avrebbe potuto tentare di rinnovarsi. Oggi penso che pagammo a caro prezzo il mancato apprendistato prima dei vent'anni in un partito di massa. Credo però che in parecchi siamo comunque giunti all'apprendistato, anche se più tardi. Per contro, se avessimo aderito al PCI o al PSI, penso che ci saremmo rimasti impaniati - come i tanti che ci sono rimasti impaniati psicologicamente prima ancora che politicamente, anche dopo che ne sono ufficialmente usciti. Il frutto più tangibile dell'Insurrezione ungherese fu che dopo il 1956 anche i più arroccati nei partiti di sinistra diventavano disponibili a discutere. Come pendolare sul treno fra il paese e Asti ne avevo conosciuto alcuni. Vedevo che anche a loro interessavano molto di più le trasformazioni impressionanti della società italiana di quegli anni che gli esiti del XX congresso del Partito Comunista dell'Unione Sovietica.

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