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INTERVISTA A CARLO FORMENTI - 31 GENNAIO 2000


Perché se tutto diventa conflittuale o tutto diventa integrato è evidente che le cose non funzionano più, in quanto non è così: perché i conflitti continuano ad esserci, perché c'è tutta quell'ambiguità, quella pluralità, quella sfaccettatura di cui parlavo prima. Quindi, il problema diventa un altro, cioè che l'antagonismo va sempre più misurato nei termini del suo nascere a diversi livelli: c'è un antagonismo sociale, un antagonismo religioso, un antagonismo culturale, un antagonismo antropologico. Ci sono delle forme di resistenza e di conflitto che chiamano in ballo tutti i livelli dell'essere, non un unico livello.
Direi che la cosa interessante, per cui vale ancora la pena di utilizzare le categorie della critica dell'economia politica, con tutti gli aggiornamenti necessari e con tutti i limiti quando si vuole tenere in piedi certe forme oppositive di cui parlavo precedentemente (lavoro produttivo/lavoro improduttivo, sussunzione formale/sussunzione reale, lavoro vivo/lavoro morto, ecc.), al di là dunque di questa dialettica delle vecchie forme, è il suo essere utile per capire la dinamica interna e la logica di sviluppo capitalistico. Detto questo, secondo me, non servono quasi più a nulla dal punto di vista della descrizione invece del conflitto politico e sociale perché questo, stante questo immane contenitore di sussunzione tecnologica che è la rete, esplode in mille forme, nelle più diverse. Proprio il fatto che esiste una grande cornice di unificazione formale serve paradossalmente non ad unificare ma a far vedere quanti e quali forme di vita non siano comunque riconducibili e riducibili dentro a questo quadro, quanto sporgano da tutte le parti e saltino fuori. Quindi, siamo di fronte a questo paradosso: ci sono delle categorie che servono moltissimo per capire questa dinamica di sviluppo capitalistico, però non servono praticamente più a nulla per capire il tipo di conflitti che scatena questa logica, perché partono un po' in tutte le direzioni. E lì, nella sua rozzezza di categorie di analisi, diventa quasi più utile il punto di vista di un Hakim Bey in "Millennium" che quello di diecimila marxisti molto più sofisticati dal punto di vista delle categorie analitiche. In lui c'è l'idea di una federazione dei conflitti, con tutti i problemi e anche le ambiguità radicalissime che questa comporta. Ciò fino a quello che nell'Est Europa è di un'evidenza clamorosa, laddove ci sono forme di sostanziale alleanza, anche se non ideologica, tra neo-nazionalismi e neo-integralismi da un lato e neo-comunismi dall'altro contro il processo di globalizzazione condotto dall'Occidente con la complicità delle mafie locali. Hakim Bey dice che si possono trovare degli strani compagni di letto: naturalmente questo non vuol dire allearsi con i nazi balcanici o con i talebani. Però, dentro a questa dinamica di casino, di tensione, di conflitto, di resistenza, obiettivamente si sfruttano degli elementi di inceppo, di impossibilità di funzionamento di questo meccanismo, a volte in modo assolutamente imprevedibile, che prescinde da qualsiasi continuità con un'idea di nuova società o di progresso inteso secondo la tradizione del marxismo: da questo punto di vista sono assolutamente convinto che non abbia quasi più nulla da dirci. Di fatto l'idea di società socialista o comunista che c'è ancora in qualche modo è quella che è stata ereditata da una fase basata sul grande industrialismo capitalistico: l'idea fondamentale era quella di appropriarsi di queste forze produttive e usarle socialmente, punto e basta, nessuna idea di critica rispetto ai problemi dell'ambiente che sono venuti dopo e via dicendo. L'idea fondamentale era che le forme di resistenza, di tradizioni, di pratiche, di valori, di comportamenti precapitalistiche erano comunque reazionarie, di destra, non progressiste e quindi da liquidare a priori, anche solo come possibilità di alleanza. Oggi questo secondo me è completamente ribaltato. Questo non vuol certamente dire che tutto va bene purché sia contro il capitale, però vuol dire che bisogna comunque fare i conti con degli interlocutori e con delle forme di resistenza che non nascono dal tuo punto di vista, dalla tua cultura, la quale a sua volta diventa sempre di più una cultura locale, che non ha una possibilità di interpretare il mondo, ma è una parte minima.

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