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INTERVISTA A CARLO FORMENTI - 31 GENNAIO 2000


Secondo te può ancora avere un senso parlare di soggettività, intesa nel senso dell'insieme di credenze, bisogni, comportamenti e via dicendo? E di soggettività di classe?


A livello culturale senz'altro. Esiste oggi una rete di culture antagonistiche, esiste tra l'altro un sincretismo, a tutti i livelli: musicale, delle mode, dei linguaggi. La globalizzazione è anche questo aspetto qui: per cui c'è l'Esercito Zapatista di cui tutti sanno tutto non soltanto attraverso i media ma perché ha i siti su Internet che si possono andare a vedere; esiste l'hip-hop che diventa un qualche cosa che viene vissuto a livello internazionale, e quindi la cultura dei ghetti afroamericani che circola dappertutto; esiste la cultura dei movimenti di resistenza nei paesi del Terzo Mondo che arriva anche qui; esiste Goran Bregovich ed un'idea di Est dopo il crollo del blocco socialista. Esiste dunque una cultura dell'antagonismo o, meglio, esistono le culture dell'antagonismo, quindi dei processi di identificazione che hanno alcuni elementi forti comuni (non molti, pochi: su questo tra l'altro andrebbe probabilmente anche fatto un lavoro per riuscire a descriverli). Ma a questo punto mi sembra che esista più un'antropologia che una sociologia dell'antagonismo. Il riferimento non è più dalla composizione di classe alle soggettività, ma dalle soggettività alle soggettività: è questo interfacciarsi tra soggettività che non sono a loro agio nel mondo, che non intendono essere puri oggetti di manipolazione da parte del processo di sussunzione. Da questo punto di vista senz'altro c'è la soggettività, non da quello del passaggio del far discendere l'antagonismo dalle categorie della composizione di classe.





















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