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INTERVISTA A VALERIO EVANGELISTI - 18 MARZO 2000


La risposta della città era dunque negativa?

Assolutamente sì, direi feroce: non ho mai visto dei momenti di simpatia della cittadinanza (intesa in senso lato, ad esempio anch'io facevo parte della cittadinanza), non tanto paura quanto piuttosto proprio odio, che era pesante, si sentiva. Poi c'era il fatto del razzismo tradizionale, non quello che c'è adesso, che è un'altra specie ed è ancora peggio: era un razzismo verso gli immigrati che venivano dal meridione, qua chiamati marocchini, quindi la fobia dello straniero esisteva già prima che arrivassero i marocchini veri. Dunque, è una città che si chiudeva molto rispetto a queste cose, e di lì forse anche la necessità di dare una punizione a questa città, perché questa idea c'era: le vetrine venivano rotte non per puro sadismo. Intanto bisogna dire che non venivano rotte tutte, ma si trattava di banche, di istituti importanti, cioè di bersagli simbolici, poi sono successi anche fatti di degenerazione, però erano molto marginali e riguardavano grosse manifestazioni di cui una componente non era controllabile. Ma qua si trattava di dare uno schiaffo a questa città, che tra l'altro ci provocava con delle cose che ci facevano veramente impazzire di rabbia: ad esempio, ogni volta che c'era il passaggio di una nostra manifestazione, mettevano dei cordoni di fronte al sacrario dei partigiani, come se noi lo volessimo assalire. Nella loro mente contorta questa era l'immagine che volevano dare, infatti poi ci chiamavano fascisti e cose del genere. Da qui nasceva veramente una rabbia che oggi potrà anche essere ritenuta trascurabile, non lo so, ma allora era grossa.


Tu pensi che a Roma il radicamento nella città fosse differente?

In alcune zone sì; da quanto ne so io il quartiere San Lorenzo, ma anche Centocelle e tutta una serie di situazioni, avevano sempre in qualche modo coperto il movimento. Del resto anche il comunista romano di base del PCI era di altra tempra rispetto a quello bottegaio di qua, era gente che in una città piuttosto tendente al fascismo aveva tenuto duro e aveva delle tradizioni di lotta. Così, i compagni dell'autonomia romana senz'altro erano autonomia operaia: certo mancava l'operaio di fabbrica che lì non c'era, ma ormai operaio non poteva più voler dire solo componente strettamente di fabbrica, comunque erano radicati. Noi qua no, a parte dei collettivi: comunque, quando si trattava di operai (di solito giovani) non avevano connotati operai tradizionali, erano dei giovani come gli altri, a cui poi si aggiungevano ragazzi di quartiere, spesso un po' ai margini non proprio della malavita, ma di una vita trascinata nei bar, tra piccoli furti e cose del genere. Quindi, era proprio un conglomerato di precariato, perché erano precari tutti: gli studenti universitari, persino i medi, gli operai, i ragazzi di quartiere; insomma, era un fenomeno sociale. Lo era anche a Roma, ma lì forse era un fenomeno ancora più politicizzato che qua.


L'hai già accennato prima: come si inserisce, in questo percorso di militanza, la tua carriera di scrittore? Come mai poi la scelta della fantascienza?

Intanto si inserisce poco, almeno all'inizio, ora non lo so. Io avevo lavorato all'università, poi avevo vinto un concorso per la pubblica amministrazione, ma avevo le scatole piene di quasi tutto; mi piaceva scrivere e, senza pretendere che qualcuno leggesse le mie cose, cominciai a scrivere questi romanzi. In realtà li scrivevo per me e per gli amici, che poi erano i compagni. Per tutta una serie di circostanze poi cominciarono ad essere pubblicati e ad avere successo. Partecipai quasi per caso ad un concorso, finii col vincerlo, dopo ripetuti tentativi; i romanzi ebbero successo e oggi faccio, con altrettanto successo, lo scrittore di professione, e non è che ce ne siano tantissimi in giro. Però quello che mi preme notare è che non ho mai scritto romanzi realmente spoliticizzati o di puro passatempo: certo delle cose molto ambigue, mi piace giocare con l'ambiguità, personaggi negativi che diventano gli eroi e via dicendo, però nel quadro di una visione del mondo che per me non è cambiata di una virgola.




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