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INTERVISTA A VALERIO EVANGELISTI - 18 MARZO 2000


Dunque, in quegli anni io mi proiettai molto di più fuori dall'Italia; quella che poi sarebbe stata mia moglie si trasferì addirittura là, e io la raggiungevo ogni volta che potevo. Dalle cose italiane cominciai a tenermi un po' alla larga, anche se il circolo Carlos Fonseca aderiva al Coordinamento Antinucleare-Antimperialista, quindi si collocava nell'area dell'autonomia. Avevamo una vita molto per nostro conto e i contatti con i compagni delle altre città avvenivano con le loro componenti che seguivano questo tipo di cose: ad esempio, i compagni dei Volsci che si occupavano dei palestinesi, quelli di Firenze che si occupavano anche loro di Nicaragua e così via. Questo era il nostro ambito. Il circolo Carlos Fonseca è esistito fino alla fine dell'86, inizi dell'87, e si era allargato molto, ma poi iniziò a restringersi, anche perché nel Nicaragua la situazione cominciava a non essere più così "sexy" e attraente come era prima; ci furono inoltre dei dissidi interni, anche abbastanza forti, riguardanti liti tra di noi che erano avvenute là, contrasti personali che poi diventavano immediatamente politici, e finimmo per scioglierci.
Allora quale fu il mio destino in tutto questo viaggio? Esisteva in quel periodo a Bologna un circolo (di cui mai avevo fatto parte né mai mi ero avvicinato) che si chiamava Kamo, il quale raccoglieva gente proveniente da quel CPT di cui parlavamo e anche altri compagni, tra cui diversi compagni che erano stati arrestati agli inizi degli anni '80 e cominciavano ad uscire di prigione: uno dei punti di riferimento possibili era quello. Il Kamo era separato dall'autonomia tradizionale, che si riuniva in via Avesella: alcune componenti dialogavano, altre avevano scarsi rapporti. Comunque il circolo Kamo diventò un punto di riferimento per varie cose. Io cominciai a frequentarlo, ma per delle attività in qualche modo collaterali: mi erano venuti a cercare loro, perché il circolo attraversava un momento di crisi, erano stati scarcerati dei vecchi compagni ma ne erano stati arrestati degli altri. Tutta una componente, quindi, non esisteva più, sembrava che il circolo dovesse chiudere: io cominciai a frequentare questo posto con nuovi compagni e a tentare di mettere in piedi delle attività. Queste dapprima consistettero in una specie di cineclub, si chiamava "Il circolo Laguna Nera": era un cineclub politicizzato per far sì di attirare gente in quel posto. In realtà ci andava abbastanza male, perché la polizia fermava tutti quelli che si avvicinavano, quindi il pubblico generico lo perdevamo di continuo: si mettevano sistematicamente all'imbocco della strada e chiedevano i documenti a tutti quanti, ed è chiaro che c'è chi non regge. Tutto questo nell'87. Poi un'altra cosa che facemmo fu di rimettere in piedi la vecchia radio Under Dog, la quale non aveva mai chiuso ma trasmetteva solo musica: tentammo di farci dei programmi ed una serie di attività di questo tipo. Non tutti le vedevano bene questo tipo di cose, perché avrebbero voluto una sorta di centro sociale ultrapoliticizzato, mentre io ed altri compagni eravamo più per il circolo culturale, diciamo così, con varie espressioni al suo interno. Quindi noi, in qualche modo, gestimmo questo posto rimanendone più ospiti che altro, perché ci scontravamo spesso con i compagni più radicali. Comunque andammo avanti per un po', finché non decidemmo che l'espressione migliore che potevamo manifestare era una rivista culturale più che il cinema o la radio. Ci mettemmo al lavoro e partorimmo, dopo un anno, una rivista chiamata Progetto Memoria, che ha avuto vita incerta: teoricamente dura tuttora, anche se ormai la sua periodicità è saltata. Comunque, stiamo parlando dell'88 e siamo nel 2000, quindi è andata avanti a lungo, con alti e bassi. A quel punto, però, lasciammo stare il Kamo e ce ne andammo, anche perché molti di noi restavano, in qualche modo, fedeli all'autonomia classica, diciamo così, e con il CPT i rapporti erano difficili: finché lì era un magma andava bene, ma ogni volta che si irrigidiva le posizioni non erano più le stesse. Allora andammo a fare questa rivista, smettemmo di riunirci lì, ci trovammo un'altra sede, che era uno scantinato (in via Avesella, tanto per cambiare). Ci mettemmo dunque a fare questa rivista che voleva essere da un lato un po' accademica e dall'altro di intervento militante. Alcuni compagni continuavano a militare nei collettivi universitari, io personalmente non militavo più da nessuna parte. Del resto va detto che, quando ero dentro il Kamo, molti compagni, che erano miei cari amici, appoggiarono l'iniziativa del giornale Analfabeta, che veniva fatto qua, mentre io, insieme ad altri, ero contrarissimo: durante una riunione degli studenti universitari di tutta Italia ci fu una rottura totale, e noi eravamo tra i "persecutori" di Analfabeta; adesso magari me ne pento, non lo so, non ci ho più pensato. Comunque, alcuni hanno continuato la loro militanza: si trattava di compagni che uscivano dal carcere, di altri dei movimenti e dei collettivi universitari o di gente come me, che ormai non militava più in nessun modo. Siamo andati avanti degli anni con questa rivista.



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