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INTERVISTA A VALERIO EVANGELISTI - 18 MARZO 2000


Il fatto è che a un certo punto le Brigate Rosse ci chiamarono ad un combattimento di un tale livello che nessuno era in grado di affrontare questa battaglia. Il caso Moro fu pesantissimo, perché portò alla militarizzazione completa: erano le prime volte che vedevo l'università interamente chiusa, non si sapeva dove riunirsi, le perquisizioni erano continue. Inoltre le perquisizioni erano molto mirate, di solito andavano a colpire i compagni più giovani, in modo che cadessero non solo su di loro ma anche sui loro famigliari e che quindi fossero poi i genitori a reprimerli. Per di più c'era il fenomeno deteriore non dico di dissociazione, ma del fatto che sicuramente tutta la componente più tradizionale dei gruppi extraparlamentari stentava a capire quello che accadeva sotto i loro occhi: in qualche caso diventarono veri e propri delatori, in altri casi comunque erano sempre più nemici e disfattisti, cominciando a fuggire dal movimento, portandosi con sé una fettina di questo. Io credo comunque che il problema fosse soprattutto il militarismo forsennato delle Brigate Rosse: nessuno di noi riuscì più a capire che cosa stessero facendo questi qua. Un tempo nel movimento non si osava dire, ma oggi me ne frego: nessuno capiva perché stessero ammazzando certa gente, un commissario in pensione, un infermiere eccetera; stava diventando un vero e proprio macello, a me faceva schifo e credo anche a molti altri. Non è che noi fossimo lì perché eravamo dei sadici, e poi non somigliava ad una guerra di popolo, erano degli agguati individuali: ne erano avvenuti anche qua, ma erano sempre legati al movimento, non erano cose di quel tipo. Figurarsi se noi eravamo amici dei carabinieri, ma questo non vuol dire che andassimo a prenderne uno qualsiasi e ad ammazzarlo, non tentavamo neanche di persuaderlo, semmai lo menavamo forte: anche perché nessuno di noi era in grado di contrastarli se poi quelli arrivavano. Questo fu un periodo difficile e ci decimò letteralmente. Io mi ricordo le grandi manifestazioni del '77, in quella nazionale a settembre arrivammo ad essere anche centomila persone; scendemmo a ventimila l'11 marzo dell'anno successivo, poi continuammo a scendere fino a ridurci a qualche migliaio, che era già molto: Bologna restava in qualche modo una differenza positiva nel contesto nazionale, ma sempre di meno.
Ad un certo punto poi nacquero delle esperienze diverse, le quali ridiedero respiro ad una cosa che stava oggettivamente morendo: esse furono i primissimi centri sociali. Altrove esistevano già ma qui erano una novità. Io partecipai moltissimo all'esperienza di uno di questi, il Crack, che ebbe due versioni: nacque, se non sbaglio, nel 1981. Nacque da un cosa curiosa. Da anni io andavo tutte le estati in vacanza in Inghilterra, e là avevo sempre partecipato alle manifestazioni e a tutto quello che faceva il movimento (che allora c'era) londinese o filo-irlandese: mi sorpresi a scoprire la componente punk. Vedevo che le manifestazioni politiche inglesi erano sempre piene di punk, mentre in Italia i compagni li giudicavano dei fascisti, perché portavano le svastiche o per altri motivi. Io tornai dall'Inghilterra cominciando a perorare la causa di una fusione con i punk, i quali a Bologna erano numerosi ma stavano per conto loro. Non fui solo io, altri compagni si accodarono a questa cosa, si cominciò a parlare con i punk e nacque il Crack, che era tra i primi centri sociali in Italia ad essere gestito quasi paritariamente da collettivi autonomi allora esistenti (ce n'erano diversi, il più forte si chiamava Comitato Proletario Territoriale, CPT, sigla che non va confusa con altre che sono seguite successivamente) e dai punk. I collettivi autonomi, almeno alcuni di loro, e i punk trovarono un accordo, non sempre facile, e occuparono questo centro sociale Crack: in esso essenzialmente si facevano dei concerti. Era una di quelle baracchette che fanno i muratori quando c'è un cantiere e che, quando avevano finito i lavori, avevano lasciato lì: era nel pieno centro di Bologna, nel quartiere Marcon. Lì si cominciarono a fare alcune cose, più che altro dei concerti, ma anche delle riunioni politiche. Il comune di sinistra, che era scatenato fin dai tempi del '77, arrivò e distrusse completamente questa costruzione; passò un po' di tempo e ne rifacemmo un altro, il Crack 2, molto più grande, meglio organizzato, sempre in pieno centro, in una zona più isolata. Anche lì punk e compagni, autonomi o anarchici, uniti. Lì in realtà poi furono lanciate delle vere e proprie campagne politiche, nel frattempo ci fu una sorta di colonizzazione da Padova, ci mandavano giù dei commissari.






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