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INTERVISTA A VALERIO EVANGELISTI - 18 MARZO 2000


Non pensi che, a livello politico, i movimenti antagonisti abbiano molto perso la dimensione dell'utopia?

Penso sicuramente che per talune componenti del movimento (anche se adesso non mi sento in una posizione di gettare l'anatema su nessuno) questo tipo di discorso è venuto molto avanti: ad un certo punto quello che era il processo per cui il PCI si sollevava dalla propria ideologia, si è introdotto anche in tantissimi centri sociali. Moltissimi oggi in Italia sono dei centri sociali di facciata, non conducono alcuna attività antagonistica che possa essere chiamata tale, salvo per episodi occasionali: si dedicano a forme di autoproduzione che sembrano replicare l'illusione del vecchio cooperativismo. Io non è che impazzisca per questo terzo settore, tutte queste cose sono anche simpatiche, non posso dire che quelli siano i miei nemici, però, attenzione, qua si tratta di rivoltare un sistema, non di vivacchiare in qualche angolo. Alla fine è un mezzo per sistemare alcuni dei vecchi leader di movimento, perché si creano un'attività economica ed hanno da vivere per il resto dei loro giorni senza staccarsi troppo dall'ambiente. Non voglio attribuire cattive intenzioni a gente che non conosco bene, ma il pericolo può essere questo. Quando prima io dicevo che i problemi sono rimasti gli stessi, sono rimasti gli stessi per tutti. Allora bisogna coltivare un'utopia (che ha poi assunto un senso sbagliato), coltivare la trasformazione: il comunismo, o quello che è, lo si costruisce non sulla base di un modello che si raggiungerà, ma sulla base della lotta che si conduce. Tanti di noi hanno avuto dei rapporti umani nel passato perché stavano assieme ai compagni di lotta in uno spazio che si riusciva a conquistare e diventava spazio di tutti, perciò era estremamente attraente, anche generazionalmente, per me lo è stato: è importante su una formazione. Purtroppo c'è chi non capisce questo e certamente è difficile sapere come portare questi discorsi oggi. Una volta si andava all'università e si dava un volantino che iniziava con "compagni…", dando per scontato che fossero quasi tutti compagni; non lo erano neanche allora, però se oggi fai una cosa simile i due terzi ti cacciano via, ti prendono a schiaffi o, se sono gentili, non se ne fanno niente. Bisogna trovare nuove forme di comunicazione, non possono rimanere quelle del passato, bisogna trovare nuovi linguaggi, sapere bene le armi che usa il nemico per usargliele contro. Seattle in questo senso può essere un'indicazione importante, però non facciamone poi un mito anche di questo: non so se sia ripetibile facilmente e sempre. E' stato bello, significativo, ha fatto vedere che esiste ancora nel mondo un'opposizione, però io sarò vecchio stile, ma mi interessa più quello che fanno le Farc o Chavez in Venezuela: c'è gente che ancora sta dando dei colpi al capitale poco spettacolari e non via Internet. Mi va benissimo Seattle, però vorrei anche qualcos'altro, perché poi l'utopia vera è legata a quell'altro. L'utopia di Seattle è molta bella, ma è un'ambigua utopia (com'era il titolo di un vecchio romanzo di fantascienza) perché c'è molta accettazione di sistemi capitalistici: è chiaro che questi non è che si possano rifiutare, ma vanno sicuramente contestati e stravolti.


Tu cosa ne pensi rispetto al dibattito, legato anche a Seattle, su questa ipotetica o reale società civile come nuovo soggetto della trasformazione?

La società civile: sono tutte espressioni che non sono mica nostre. Non vorrei che alla fine usassimo dei criteri che non sono propri della nostra tradizione senza neanche accorgercene. Seattle sicuramente ha visto una manifestazione di una parte della società civile e va senz'altro bene, va meglio quello della staticità; se poi si crea anche il mito, accettiamolo pure. Ma tutto questo in una certa maniera, perché la cosa decisiva non è quella: molta di questa gente di Seattle non la rivedremo da nessuna parte, non è che poi tornino nel loro paese e facciano le lotte. I Verdi di chi sono amici? Miei no, fanno delle porcherie a tutti i livelli. Poi, chiunque parta da un'accettazione delle coordinate di fondo dello stato di cose e vuole in qualche modo forzare, ma non rovesciare, secondo me parte già male. Siamo in una società in cui, in questo momento, ci sono non so quanti africani che in un paese qualsiasi muoiono di fame, vengono mutilati, uccisi, sfruttati, violentati, costretti alla prostituzione; allora, se questo è, questo è il problema, e non è che quattro animalisti me lo risolvano. Mi vanno bene anche gli animalisti, ma di tutte quelle componenti apprezzo di più quelli che fanno un discorso da un punto di vista borghese ma evoluto: ad esempio, Le Monde Diplomatique e il suo gruppo parlano di espansione della democrazia, di transazione sui movimenti di capitali, e sono più concreti che altro. Mi va bene, però non è neanche quello.

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