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INTERVISTA A VALERIO EVANGELISTI - 18 MARZO 2000


Un conto è dire: siamo stati sconfitti? Sì. Sei pentito? No. Perché dovrei esserlo? Cosa ho fatto io? Tutto quello che ho fatto l'ho fatto bene, non vedo cosa dovrei rinnegare. Allora, dato che la mia visione è rimasta quella, senza fare dei pamphlet politici, però nella mia narrativa qualcosa ci metto. Quando poi, in articoli o altro, devo teorizzare su questa narrativa, allora divento proprio esplicito e faccio capire che il capitalismo a me continua a non piacere troppo, pur essendo inserito nel mondo borghese. Per esempio, per me Carmilla è importante come rivista, perché è il risvolto della mia professione che resta legato al movimento: infatti, di solito, le presentazioni le andiamo a fare nei centri sociali e posti di questo tipo. Io, che fino all'anno scorso facevo delle presentazioni in giro per l'Italia, piccole apparizioni televisive, adesso non faccio più niente, eccetto che andare nelle situazioni di movimento: non è che poi assomiglino a quelle della mia gioventù, ma bene o male è la mia famiglia, io vengo da lì.


Tu prima parlavi delle trasformazioni culturali e politiche rispetto alla dimensione del proletariato giovanile. Nei tuoi romanzi vengono fuori i nodi del linguaggio, della tecnologia, della scienza, della religione e, più in generale, dell'immaginario collettivo: essi hanno molto a che fare con quelle trasformazioni.

Su questo devo fare un discorso un po' complesso. Io sono fortemente persuaso che i moderni mezzi di comunicazione, di cui sono poi stato tra i primi a servirmi (Internet e i computer li uso da tantissimo, li usavo anche nell'attività politica), portino delle trasformazioni indubbie e visibilissime nel modello produttivo e nella circolazione della ricchezza in genere; però non sono convinto di altre cose, cioè che questo abbia talmente ammodernato, ad esempio, il sistema produttivo da far cadere un possibile discorso sull'identità di classe.


Ciò che invece sembra talvolta sostenere Bifo, ad esempio.

Quel tipo di cose io non riesco ad approvarle, anche perché mi sembra piuttosto evidente che nel mondo non ci siamo solo noi, non c'è solo l'Occidente sviluppato: determinati fenomeni di accumulazione che avvenivano qua sono semplicemente spostati altrove, con effetti disastrosi. Di questo parlo spesso nei miei romanzi. Ad esempio, riferito all'Africa e via dicendo, ci sono politiche omicide che sono state applicate, ma sempre al servizio dell'accumulazione: non è che siamo passati ad un altro sistema, non è che, come diceva Hilferding, le società per azioni un domani avrebbero sostituito il capitalismo e saremmo stati più felici. Neanche per sogno: siamo passati alle multinazionali, da lì alle transnazionali e via dicendo, ma il meccanismo economico di sfruttamento resta lo stesso; accade semplicemente che certi processi produttivi, che prima erano concentrati in Occidente, adesso si svolgono su scala globale. Dunque, non facciamoci troppe illusioni su questi aspetti.
Quello che va invece sottolineato, perché importante, è quello che Marx chiamava l'astrattizzazione del capitale. Qua siamo arrivati ad un livello in cui davvero il capitale si è fatto totalmente immateriale: il processo ormai è diventato denaro-denaro-denaro (D-D-D) con una velocizzazione incredibile e con uno spostamento di quasi tutta l'economia (per quanto riguarda scelte, potere eccetera) sul piano dell'immaginario, ma poi con un'estrema materializzazione dell'economia dello strangolamento quotidiano dei popoli. E' chiaro che l'operaio italiano non sarà preso per il collo (in realtà lo è, perché mai la classe operaia italiana è stata messa male come adesso); ma sicuramente chi sta peggio è chi produce a Taiwan, nell'Europa dell'est e là dove sta arrivando il capitale. Quindi, quello che è avvenuto è stato una sparizione non tanto del lavoro, quanto del capitale, che non si riesce più a seguire: una giornata di scambi di borsa mobilita somme che equivalgono a diverse bilance di stati nazionali. Questa, attenzione, è una forma di sfruttamento peggiore di quelle del passato e di creazione di nuove classi, ma nell'ambito della subordinazione. Infatti, chi è poi che controlla questi sistemi? Non è mica facile. La stessa Internet, che io apprezzo tantissimo e mi piace molto, è però un prodotto americano che loro potrebbero anche chiudere: magari un domani no, ma ancora oggi sarebbe possibile isolare uno stato da questo tipo di rapporti. E cosa succede a quello stato se quel tipo di comunicazione è diventata una parte importante della sua economia?

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