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INTERVISTA A RITA DI LEO - 11 DICEMBRE 2000
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Come hai cominciato ad interessarti di politica e qual è stato il tuo percorso di formazione politica e culturale?


Vengo da una famiglia di intellettuali laici, mia madre era una pedagogista d'avanguardia, convinta che i giovani andassero rispettati. Sono stata molto fortunata. La mia esperienza politica è incominciata con l'inchiesta sui braccianti ("I braccianti non servono. La lotta di classe nelle campagne pugliesi", pubblicata nel 1961 da Einaudi) per la quale sono entrata in contatto con il partito comunista di Cerignola e degli altri paesi della ricerca. Nel libro c'è una descrizione di quel mondo scomparso - come lo colsi nell'intensità dei miei 19-20 anni.
Per la formazione politica il primo incontro importante è stato con un bracciante comunista di Cerignola che si chiamava Angione, ed era stato un testimone diretto e attivo degli sconvolgimenti sociali nel passaggio dal fascismo alla democrazia cristiana. Il secondo incontro è stato con Raniero Panzieri: è stato lui ad introdurmi alla lettura "operaista" di Marx. Da quel momento ho letto le opere di Marx come se si trattasse del grande "romanzo" della rivoluzione dietro l'angolo. All'epoca per me ragazzina Marx è stata la spiegazione a tutti i perché che cercavo sul capitalismo e sulla borghesia.


Cosa hanno rappresentato Quaderni Rossi e Classe Operaia come momenti di formazione collettiva di voi che avete vissuto queste esperienze?

Io non so perché usiate l'espressione formazione collettiva, la realtà è più prosaica: molto spesso i Quaderni Rossi si riunivano a casa mia quando eravamo tutti a Roma: dieci/quindici persone, mangiavamo, discutevamo, scherzavamo. Non c'era un collettivo, c'erano forti personalità: le due più forti erano quelle di Raniero e di Mario. E Mario, anche perché era più giovane di Raniero, aveva molto rispetto di Raniero. Mario aveva tuttavia sue posizioni, che poi diedero vita a Classe Operaia. Anche per via dei tempi Raniero era una creatura del movimento operaio, molto estremista, molto di sinistra, ma gli apparteneva: era un grandissimo intellettuale, una grandissima intelligenza, ma in qualche modo ci stava utilizzando per fare paura ai suoi compagni del PSI che lo avevano marginalizzato.
Siccome io ho studiato molto bene il collettivo nell'esperienza sovietica, mi dovete credere, di "collettivo" non c'era assolutamente nulla: c'era Raniero che parlava e, come si diceva all'epoca, esponeva la linea, e poi c'era Mario che, in modo flautato com'è sua natura, correggeva o spostava la linea di Panzieri; questi era intelligentissimo, captava le possibili novità e le integrava nel suo discorso finale, e poi se ne andavano tutti a casa soddisfatti, perché io a un certo punto della serata dicevo "adesso basta, ve ne dovete andare, è tardi".


E' vero, è un termine improprio il nostro, infatti da tutte le interviste questa cosa che stai dicendo è venuta fuori in termini grossi. Però, questo involontariamente ha portato ad una bella domanda: tu hai detto che c'era una differenza fondamentale tra la dimensione dei Quaderni Rossi e di Classe Operaia e la dimensione del collettivo nell'esperienza sovietica. Dicendo questo, ti riferisci alla prima parte di quella esperienza, cioè al processo di formazione del gruppo bolscevico, oppure a quella successiva, per intenderci dopo il '30? In termini di collettivo, qual è la differenza sostanziale?

La leggenda vuole che tra il febbraio e il novembre del 1917 ci sia stata una partecipazione spontanea e collettiva degli operai alla lotta dei bolscevichi; in seguito "collettivo" nella terminologia sovietica ha significato la gestione dei differenti gruppi sociali - operai, contadini, intellettuali - che apparentemente si fondava sulla democrazia diretta, ma era tenuta in realtà a osservare regole ben precise.

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