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> La soggettività politica antagonista
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(pag. 9)

INTERVISTA A FERRUCCIO DENDENA - 8 MAGGIO 2000
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La soggettività politica antagonista.

La soglia che separava l'avanguardia leninista dell'inizio del '900 in Russia dalle masse proletarie costituiva un gap enorme: da una parte altissimi livelli di coscienza, il soviet come luogo di interpretazione alta della contraddizione, dall'altra il 90 e rotti per cento del proletariato, delle campagne piuttosto che in divisa eccetera, lontano mille miglia, con un gap notevole tra chi guidava e chi faceva massa. Rapportato all'oggi, diamo per vero che questo gap si riduce, che aumentano notevolmente gli strumenti che sono nelle mani del soggetto sociale per capire criticamente la contraddizione, quindi per capire criticamente le modificazioni che stanno intervenendo; dunque, supponiamo teoricamente che sia limitato il gap tra questo nuovo soggetto produttivo oggettivizzato dal capitale e il soggetto politico vero, l'avanguardia politica. Questo non significa che un gap ridotto notevolmente dal punto di vista degli strumenti critici, di per sé, in termini teorici, elimini i ruoli, ossia che ci sia una coincidenza immediata tra il soggetto sociale postmoderno, il soggetto sociale del capitalismo più avanzato, il nuovo operaio al servizio del capitale, e l'avanguardia politica, tale per cui i problemi da superare si riducono ad operazioni di collegamento, biologico, organizzativo, progettuale, cioè a un mettere insieme. Quindi, tutto sommato, diciamo che non è più dato qualcosa che è strumentale, non interessa cioè portare le masse sullo scontro rivoluzionario indipendentemente dal loro grado di consapevolezza; ma ipotizziamo che sia talmente vicina la possibilità che questa consapevolezza si traduca in determinazione allo scontro, al conflitto, che quello che manca è solamente un'operazione quasi di architettura, organizzativa, di modello, di teoria dell'organizzazione (per usare un termine leninista), a fronte però di un soggetto sociale ad altissimo grado di consapevolezza della contraddizione.
Quindi, che il ruolo dell'avanguardia politica sia un ruolo quasi "burocratico", che serve solamente a far raggiungere al soggetto sociale diffuso la consapevolezza che è possibile vincere, che è possibile, dentro ad un modello e ad una macchina organizzativa funzionante, passare sul terreno dello scontro aperto, perché i progetti di società nuove e di trasformazione sono già lì, magari in nuce ancora, ma sono già dentro la composizione nuova, sono già in una testa collettiva. E' questo il vero problema su cui ho dei dubbi. Il pensare che questo esserci in potenza, dentro il nuovo soggetto sociale, l'insieme delle risorse di conoscenza, di sapere, tecniche, in grado di renderli professionalmente adeguati a progettare percorsi nuovi, di per sé ci faccia concludere che dentro il soggetto collettivo sociale ci sia già la prefigurazione di strade di cambiamento diverse da quelle governate dal capitale: questa è la cosa che mi preoccupa di più, perché sarebbe un meccanicismo teorico. Magari dico delle stupidaggini, ma in questo modo è come se fosse lo stesso sviluppo della contraddizione ad avere creato soggetti coscienti e consapevoli: si pensa addirittura che possiamo dire che il livello raggiunto da tutti i grandi cicli di scontro di classe, quelli dell'operaio-massa, e dalla loro sconfitta, abbia aperto scenari insieme di nuovo sfruttamento ma anche di nuove potenzialità alternative. Uno certamente può dire teoricamente che non è vero e che sia meccanico il fatto che solo dalla vittoria nello scontro di classe nascano prospettive positive e significative per il proletariato: va bene, ci sto su questo terreno, ma io voglio però capire perché da una sconfitta pesante del proletariato occidentale possa essere nato uno scenario che ha dentro delle potenzialità immediate. Non credo che il capitale, nella sua storia, nella sua guerra senza confini con il proletariato, abbia mai costruito delle risposte arretrate, ha sempre comunque guardato avanti, a costo di dire al proletariato: "Io vorrei sfamare tutti, vorrei dare da lavorare a tutti, ma non posso farlo: è un problema di sviluppo, e dovete lavorare, faticare, sudare, e io sono la testa che indica questo progetto". Quindi, non credo che il capitale abbia mai pensato di dare delle risposte arretrate al conflitto, nemmeno adesso: anche quando io dico che per me personalmente oggi c'è una sorta di frenata capitalistica allo sviluppo, faccio un ragionamento più tecnologico che non politico, nel senso di dire che se oggi le tecnologie produttive fossero generalizzate e diffuse a livello planetario, i tempi di una globalizzazione del modello occidentale sarebbero molto più veloci di quanto non sono; io ho la sensazione che ci sia un rallentamento in questa generalizzazione tecnologica.

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