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(pag. 9)

INTERVISTA A FERRUCCIO DENDENA - 8 MAGGIO 2000


Come dicevi tu, questa non è comunque stata la rappresentazione del mondo anti-capitalistico: del resto, anche in passato (ad esempio nella battaglia contro il nucleare) c'erano state convergenze tattiche e temporanee con settori impegnati su tematiche specifiche, che portavano avanti una critica ad alcuni aspetti dello sviluppo capitalistico e non certo per un'uscita da esso. Non credi che siano una mistificazione le analisi che vedono un costituirsi di soggetti sociali di per sé immediatamente antagonisti, quindi senza più bisogno di un soggetto politico?

Certo. A meno che noi siamo incapaci di vedere una genesi ancora embrionale, ancora nella sua fase davvero buia, e un giorno vedremo il formarsi di questa nuova realtà e ci picchieremo contro il naso: non escludiamo niente, i nostri strumenti di comprensione e di riflessione sul cambiamento non ce lo fanno intravedere questo scenario o, perlomeno, non ci danno una dimostrazione di vicenda storica in corso e in progress, sia pur caratterizzata dalla sperimentalità, significativa. E' vero che le lotte in Francia, in Germania, in Italia di alcuni settori nuovi sono stati interessanti, ma la loro caratteristica fondamentale è stata quella della profonda, radicale incapacità di passare dal pretesto materialissimo che le ha scatenate all'esecuzione in progetto che da quelle contraddizioni doveva nascere: questo è stato il passaggio che è mancato. Le lotte nella sanità in Francia sono state davvero bellissime e durissime, sono state le lotte di un soggetto sociale che non c'entrava niente con il proletariato industriale; però, a quanto io ho potuto vedere, dal punto di vista della messa in discussione del meccanismo istituzionale dell'assistenza sanitaria non hanno determinato nulla, ma perché si ponevano davvero su un livello molto alto di rottura, tenerlo era (ed è tuttora) un grosso problema. Non lo so se settori limitati di soggettività sociale, anche organizzata, ce la potrebbero fare ad andare oltre certe soglie di sperimentazione. Io sono convinto che la logica repressiva sia davvero tendenzialmente esecrata anche dal potere, questo vuole dimostrare di essere capace di prevenire, comunque e subito, nella miglior tradizione della scienza che dice che la vera modernità del progresso scientifico non sta nella capacità di evacuare le popolazioni sotto un vulcano in eruzione, ma di farle andare via con calma prima che ci sia l'eruzione, e così per le malattie e via dicendo.
Questo è il problema, eliminare la necessità di reprimere, altro che i massacri degli agenti di custodia di Sassari, questo è residuo di una vecchia logica; per carità, non sto dicendo che sia superata, anzi, appunto, come si vede funziona ancora eccome. Però, arrestare ottanta e rotti agenti, direttori di carceri, metterli in cella, vuol dire che c'è comunque il tentativo di dare un segnale, che non va bene così, che non si possono spegnere i mozziconi di sigaretta sui detenuti: "ma cosa siamo, barbari?". Deve essere su un altro terreno di risoluzione il problema del controllo sociale, quindi Caselli, di cui si chiede la pelle da parte del sindacato degli agenti, va giù dicendo: "Primo, il corpo degli agenti di custodia è un eroico corpo sicuramente non contaminato dalla cultura della violenza eccetera, salvo queste degenerazioni", quindi va giù a piegarsi, per poi dire però: "Insomma, come facciamo a non arrestarli? Non si fa così". Ma "non si fa così" di fronte a chi ha sempre fatto così, perché è sempre successo questo nelle carceri; lì è venuto fuori come comportamento massificato addirittura, ma siamo su uno scenario secondo me arretrato di esercizio del controllo sociale, tra l'altro in uno dei luoghi più totalizzanti da questo punto di vista com'è il carcere. Io credo che la strategia vincente sia quella della scientifica e democratica prevenzione di tutte le malattie, soprattutto di quelle sociali, che sono le peggiori, ma quelle bisogna prevenirle, dando risposte che non siano comunque di autoritarismo, di vessazione, di prepotenza, ma risposte del tipo "parliamone, troviamo insieme la soluzione, cerchiamo di non identificare lo stato e le istituzioni forti come delle controparti e voi come i deboli, cerchiamo di trovare una soluzione insieme". Questo salvo la stigmatizzazione criminale di tutto ciò che la cultura della prevenzione non riesce ad evitare; lì sì non c'è più mediazione, la criminalità è criminalità. E nella criminalità rientra tutto ciò che, fuori da questa sofisticata logica preventiva, sfugge, non riesce a rientrare. Non può essere considerata un'anomalia con diritto di cittadinanza, perché tutto ciò che è compatibile ed è legittimo ha diritto di cittadinanza: viene tolta la legittimità di esistenza dell'anomalia, e lo stigma è quello della criminalità, non è uno stigma del comunismo, della sovversione, della devianza, è criminalità, perché tutto il resto può essere ricomposto. Tutto può e deve trovare una soluzione positiva, e questo è il limite estremo della democrazia capitalistica che, quando è spinta al massimo, come può dire che ciò che esce fuori dalle regole abbia fondamento? E' immediatamente bubbone. L'importante è che ciò che sfugge alla logica della prevenzione non abbia una dimensione massificata; lì c'è l'elemento del terrore vero del sistema di potere, perché il problema è quello della massificazione, che impedisce di classificare clinicamente una malattia come guaribile, anche con l'estirpazione, la massificazione vuol dire metastasi.

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