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(pag. 1)

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(pag. 6)

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(pag. 9)

INTERVISTA A FERRUCCIO DENDENA - 8 MAGGIO 2000


A me piacerebbe poter dire e riconoscere di sbagliare profondamente, vorrei proprio che qualcuno (in questo momento probabilmente non c'è nessuno) e che i fatti dimostrino questa cosa qua: non ci credo, però non dico neanche che la nostra analisi oggi è in grado di dare a questo scenario un retroterra di spiegazione teorico-scientifica nutrito. Quindi, io mi limito a dire che, personalmente, sono più sbilanciato a diffidare di chi dipinge scenari irreversibili di trasformazione positiva della società in assenza di conflitto, anche radicale, rispetto a chi dice invece che fuori da un innalzamento della radicalizzazione del conflitto non c'è possibilità di inversione nei processi di trasformazione del mondo. Io oggi mi sbilancio di più su questo versante, mi schiero sul terreno di chi dice: "Senza intelligenza collettiva nella progettualità e senza organizzazione di questa intelligenza collettiva, con un terreno di conflitto articolato ma alto, non c'è possibilità di inversione rispetto al progetto dominante", rispetto invece a chi dice: "Andiamo avanti dentro la contraddizione perché la riassorbiamo, la neutralizziamo, perché siamo capaci, e lo dimostreremo man mano che il tempo va avanti, di erodere gli spazi di autonomia del capitale e li ridurremo a niente, e lo estingueremo senza spargere sangue". Rispetto a questo scenario, che uno potrebbe dire che è bello, io personalmente, per onestà, mi schiero nettamente sull'altro versante, cioè su chi invece dice che solo l'altissimo innalzamento della capacità di progetto collettivo e, nello stesso tempo, di dotazione (e forse bisogna avere l'onestà anche di dirlo, dovrebbero fare anche altri intellettuali che ragionano su queste cose qui) e anche con una determinazione di pari livello, della stessa altezza della qualità dei progetti che si va a costruire, con la stessa adeguata determinazione alla materiale esecutività, alla materiale capacità di rendere esecutiva questa progettazione, oggi è possibile invertire la tendenza. E questo vuol dire non solamente conflitto, ma scontro di classe: scontro di classe nel post-fordismo, nella modernità, adeguato ai cambiamenti emersi da una grande sconfitta della vecchia composizione di classe. Io la penso esattamente in questo modo qui, sono schierato su questo terreno che, secondo me, tutto sommato, non è che preluda necessariamente a bagni di sangue. Non prelude però ad un silenzioso estinguersi e scomparire di un soggetto che diventerà, insieme a me, finalmente consapevole dell'impossibilità di marciare su terreni diversi (il mio interesse contro il tuo, in termini di soggetti collettivi) e capirà che la sua stessa emancipazione passa attraverso un superamento definitivo dell'antagonismo di interessi: non ci credo, almeno quella del modello occidentale di oggi è una natura ancora profondamente di classe, è una natura che, per essere soddisfatta e nutrita, ha bisogno di una gran parte dell'umanità piegata al suo servizio. Questo è il modello di oggi, non credo che questo sarà a un certo punto oggetto di rinuncia volontaria per una serie di motivi: io penso che la rinuncia sarà una resa di fronte ad un conflitto sociale dispiegato, a partire dall'Occidente, senza di questo non vedo scenari di soluzione. Sicuramente sarò ben contento di fare autocritica, dopo di che è una speranza che è come quella di dimostrare che l'auto-imprenditorialità, di per sé, è la condizione per diventare ricchi: una pura illusione!


In molte letture mitizzanti di Seattle si è parlato di questa società civile che spontaneamente si costituisce in soggetto politico. Non pensi che spesso, facendo confusione con la lotta di classe, si esaltino conflitti che non sono contro la dimensione capitalistica bensì ad essa funzionali, oppure che esprimono non alterità ma forme di critica innovativa, comunque sempre all'interno dello sviluppo sistemico?

Io ho sentito il ragionamento di Giuliano Amato su Seattle fatto ai giovani in un'assemblea pubblica. Amato ha testualmente detto: "Seattle è stata una babele. Lì si sono incontrati gli uomini di governo dei paesi avanzati e quelli dei paesi arretrati, in più gli ecologisti, i sindacalisti, i disoccupati. Quindi il politico internazionale, cioè la rappresentanza, dell'Occidente e del resto del mondo, e il sociale: questa è la Babele, una Babele di incomprensioni. Non ci siamo capiti", dice Amato.

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