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(pag. 9)

INTERVISTA A FERRUCCIO DENDENA - 8 MAGGIO 2000


E' vero che, come diceva Marx, la rivoluzione e il comunismo saranno un risultato di emancipazione anche per gli sfruttatori, e che la liberazione dal ruolo di sfruttatori sarà un fatto positivo anche per loro, ma che questo voglia dire che oggi, nel post-fordismo, nella modernità, questa cosa avvenga con una resa di fronte all'intelligenza sociale da parte del capitale, qualcuno me lo deve un attimino illustrare, o me lo deve spiegare, anche in prospettiva, in uno scenario teoricamente sensato. Dall'altra parte io non voglio dire con questo che gli scenari sono di "guerre stellari", non nel senso di barricate di piazza ma di guerre senza soluzione di continuità dal punto di vista degli strumenti che si mettono in campo, cioè di un soggetto sociale che si organizza a tutti i livelli possibili: "Da una parte riesco a far partire due missili dal mio laboratorio perché li ho costruiti insieme ai miei compagni e abbatto il parlamento; dall'altra parte sono capace di fare un progetto di urbanizzazione nuovo e faccio una lotta durissima per costruirlo". Non lo so se sia così lo scenario, ma un qualcosa di diverso da uno scenario spietato dal punto di vista della radicale alterità di interessi io ancora non riesco a capirlo, perché l'unica altra alternativa che io vedo è quello di un piegarsi dell'intelligenza capitalistica di fronte ad un'intelligenza sociale forte e capace di vincerla senza sconfiggerla, quindi di neutralizzarla senza batterla sul piano politico, cioè di dimostrare che "non solamente non servi più, ma addirittura che facciamo, pensiamo e progettiamo meglio, come è senz'altro vero in potenza: tu non servi più, sei un soggetto inutile, e tu nella tua inutilità ti estingui". Io credo che questa consapevolezza dentro il soggetto capitalistico sia tale da innalzare la ferocia agli altissimi livelli di un organismo che vuole sopravvivere, di una soggettività collettiva, quella capitalistica, che vuole sopravvivere dentro meccanismi biologici vitali che sono quelli di sempre, salvo riadeguarsi all'attualità; comunque sono quelli di un organismo che vive di regole e di modelli che esistono sulla base di una legge fondamentale, che è quella dello sfruttamento, nella sua variante più moderna. Se noi non siamo capaci di spiegare questa cosa qui, rischiamo di finire non solo per essere identificati come comunisti nel senso tradizionale del termine, cioè quelli che vogliono fare la rivoluzione, che vogliono attaccare lo stato del benessere, tutto il peggio che si può dire e che è stato detto sul comunismo; ma addirittura quelli che, in nome di un modello comunista, determinano soggettivamente l'arretramento. Questa sarebbe, dal punto di vista ideologico, la vera sconfitta, ossia il fatto che si identifichi in maniera irreversibile lo scontro di classe, l'antagonismo veramente come una malattia sociale, una piaga che è il primo nemico dei proletari.
Questo è il vero problema di fondo, e non basta dire che tanto quelli sono sfruttati e mica non hanno consapevolezza di esserlo; bisogna capire cosa hanno in testa dal punto di vista delle vie d'uscita, dei progetti risolutivi della loro condizione. E' stato vero nel passato che nelle file reazionarie c'erano milioni di proletari, non solo negli eserciti, ma anche nelle brigate, nelle organizzazioni non ufficiali, anche i mille di Garibaldi erano proletari, non so quanto gliene importasse di andare giù a liberare l'Italia però ci sono andati perché, in quel caso, gli davano il pane; ma oggi, il fatto che si identifichi chiunque teorizzi e organizzi il conflitto come un soggetto di arretratezza, nemico del progresso, è un problema grosso e reale. Nello stesso tempo, se noi non siamo capaci di ragionare insieme a questo nuovo soggetto sul fatto che le regole della modernità, della valorizzazione personale, individuale, che vengono offerte oggi, sono regole di nuova subordinazione, è un bel guaio lo stesso. Questa grande intelligenza è quella di un automa. Noi allora possiamo dire che i meccanismi automatici sono passati dalla catena di montaggio ai robot, non è vero che se si passa dall'elettromeccanica o dall'elettronica alla biologia pura i meccanismi di subordinazione non possono funzionare lo stesso; non è vero, cioè, che perché diciamo che il nuovo soggetto produttivo è dotato di materia grigia, questo impedisca e ci dia la garanzia e la certezza che non sarà piegato. Anzi, le sconfitte di questo nuovo organismo sociale collettivo sono tali che, se diventano forti, hanno una pesantezza nettamente superiore.
Questa è una visione che molti definirebbero catastrofista, perché vuol dire che la speranza che dal conflitto, sia pure da uno non antagonista, non nasca comunque la migliore soluzione per tutti, è una speranza pessimistica, tragica, catastrofista. Mentre, invece, il discorso in positivo sarebbe di dire che il conflitto, se basato su quelle regole, prima di tutto quella di non piegare e sconfiggere il tuo nemico, ma di dimostrare la forza del tuo progetto, basta perché vada avanti; tutto quello che esce da questo scenario qui è semplicemente una logica distruttiva, di guerra all'ultimo sangue contro un nemico che non c'è più.

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