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> La soggettività politica antagonista
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(pag. 6)

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(pag. 9)

INTERVISTA A FERRUCCIO DENDENA - 8 MAGGIO 2000


La stessa cosa era accaduta alle braccia del capitale, ossia la classe operaia, che avevano capito di essere braccia e rivendicavano il diritto (per le braccia però, non dicevano di voler diventare testa) di riposare di più, di mangiare di più, di fare meglio nel loro mestiere, di stare meno ore in fabbrica e via dicendo: ma queste erano le rivendicazioni delle braccia, era il cervello delle braccia. Adesso non c'è più questa separazione, ma questo non mi fa ancora capire come questa intelligenza diffusa, questo general intellect (come Marx diceva), abbia una consapevolezza di essere tale, come abbia una connessione di massa; la preoccupazione fondamentale del capitale mi sembra quella di mantenere l'intelligenza sconnessa, scollegata, parcellizzata. E' lo stesso meccanismo che si è realizzato con la distruzione della grande concentrazione produttiva e con la fabbrica diffusa, mi pare lo stesso meccanismo che si applica alla soggettività sociale. E' vero che la boita torinese può diventare un'unità produttiva internazionale, dalle quale esce un prodotto che può essere usato a Detroit o a Torino, ma il comando è a Detroit e a Torino, le regole di produzione e i costi di mercato là sono decisi. Mi sembra che questo discorso qui stia funzionando anche su quello del soggetto sociale, dell'individuo, del nuovo operaio capitalistico: c'è una capacità di sfruttarne al massimo le risorse e l'intelligenza creativa, quindi produttiva, ma non di consentire lo sviluppo della sua capacità relazionale.
Questa è forse una visione un po' schematica dello scenario, perché, tutto sommato, la possibilità di affermare che le intelligenze non sono ancora piegate irreversibilmente c'è; però, perché quando noi ci confrontiamo a caso con questo soggetto sociale (non ci importa se sia un infermiere, un medico, un architetto, un ingegnere) e gli poniamo la domanda se è possibile pensare, nel suo specifico campo di sapere, a una progettualità fuori dal conformismo, dalle regole, c'è lo sbigottimento, la sorpresa, la meraviglia? Io incontro questo: è come dire, ancora più di prima, "ma tu stai scherzando". Qualcuno addirittura a me diceva "non siamo mica in diecimila come eravamo alla Fiat", ma sbagliano: noi siamo in cento milioni, quindi potenzialmente con una forza maggiore, ma c'è un livello di non comunicazione, di non incontro, che è un problema culturale, ideologico, di solitudine nell'agire. C'è dunque un'individualizzazione tale che il mettersi insieme per, ragionando sul terreno di progettualità alternativa, al nuovo soggetto fa pensare a uno scenario fantastico, che potrebbe apparire ancora più fuori dalla realtà che la lotta di classe negli anni '60 e '70, ancora più impraticabile di quella. Ma perché questo? C'è un'arretratezza nel confronto, c'è la mancanza di collegamenti, c'è tutto quello che si vuole, ma c'è qualcosa di molto grosso che manca: tornando alla questione iniziale, al problema del gap che c'è tra soggetto politico e soggetto sociale, nuovo soggetto produttivo del capitale, possiamo dire che esso è centomila volte più ristretto rispetto al passato, ma è ancora un gap che, a mio parere, ha una valenza politica altissima. C'è in potenza qualcosa di talmente elevato, forte, grosso, che difficilmente, senza il ruolo fondamentale e centrale della soggettività politica, può diventare progetto concreto, azione, nuovo terreno di scontro di classe. Questa è, in generale, la mia sensazione: non riesco ancora a capire che risposta dare a questo innalzamento spaventoso del sapere di massa rispetto alla pochezza, all'esiguità dei progetti che da esso nascono, e ad una preminenza ancora netta e totalizzante del progetto capitalistico. Non si può dire che è solamente un problema di chi controlla la finanza, di chi controlla la repressione, di chi controlla la comunicazione e via dicendo: è vero, è chiaro che ci sono anche questi problemi, ma se rispondiamo in questo modo qui tutto il ragionamento sul general intellect lo mandiamo a farsi friggere, allora diciamo che siamo di fronte a un postmoderno di rincoglioniti, non a un sapere diffuso e paralizzato. Ma se il presupposto comune da cui partiamo tutti è che è stato fatto, anzi prosegue, il salto nella conoscenza, nel sapere, quindi nella dotazione di strumenti tecnici, scientifici e anche culturali, per inventare risposte alternative, diciamo pure anche antagoniste, al modello esistente, allora mi si deve dire qual è il passaggio dalla dotazione all'esercizio, dove esso sta. Dobbiamo aspettare che ci sia una società di scienziati perché a quel punto lì capiscono? "Che cosa ce ne facciamo delle multinazionali, delle grandi banche, del Fondo Monetario Internazionale? Abbiamo capito che non servono a niente, quindi diciamo loro di chiudere, perché se non chiudono li facciamo chiudere noi in quattro e quattr'otto, smettiamo di lavorare."

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