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INTERVISTA A FERRUCCIO DENDENA - 8 MAGGIO 2000


Ma dal punto di vista della risposta politica, ideologica, culturale non ci credo che il capitale abbia mai prodotto, e adesso produca, delle risposte vecchie, arretrate, cioè che dica: "Adesso ho vinto, vi impongo delle regole da vincitore." "Anzi," dice il capitale "io sto liberando i territori, io vi sto liberando per l'affermazione individuale, dentro le mie regole: ma, attenzione, sono regole che io voglio che diventino regole di tutti". E' un discorso di democrazia dentro un modello di sofisticazione massima dell'autoritarismo. Ma, per tornare al discorso di prima, è possibile pensare che questa valorizzazione, che il capitale sta facendo, dell'intelligenza sociale sia qualcosa che in sé abbia già tutti gli strumenti per far fuori il capitale stesso, e non invece che sia davvero un salto di qualità eccezionale dei meccanismi di dominio? Qualcuno dice che è vero che può essere anche questo, ma è vero anche che comunque in sé questo tentativo di valorizzazione dell'intelligenza sociale e collettiva che sta facendo il capitale apre comunque dei versanti di altissima vulnerabilità del sistema. E' quello che dicevamo già altre volte, cioè che il capitale dice: "La mia testa diventa una testa collettiva, diffusa". Ma mi piacerebbe che fosse affrontato in maniera più scientifica questo ragionamento, perché se la diffusione della discrezionalità, della capacità di intervenire, di governare il cambiamento, è qualcosa che è basato effettivamente su una piena libertà di utilizzo della scienza, della tecnica eccetera, come mai, almeno apparentemente, non c'è niente nel mondo occidentale che dia il segno della devianza, di una devianza progettuale? Come mai non c'è, o almeno io non lo vedo? Probabilmente invece non è così, magari qualcuno è in grado di spiegarcele queste cose, ma io non vedo dei segnali di devianza forte, cioè: "Adesso usiamo contro di voi, in maniera progettuale (davvero tale e non resistenziale, da barricata, da difesa del vecchio), usiamo in maniera moderna questa libertà di azione e di progettazione che voi ci avete affidato, e costruiamo e sperimentiamo percorsi materiali alternativi". Io non riesco ancora a vedere laboratori reali, veri, storicamente visibili, in funzione, che stiano producendo questi micro-modelli alternativi, a livello territoriale o addirittura internazionale, che diano un segnale proprio di riappropriazione del sapere, di sua rielaborazione in progetti svincolati dal controllo capitalistico.
Ma non dico neanche che questo sia impossibile; ma siamo addirittura estremisti, non dico neanche che questo potrà avvenire solo grazie al soggetto politico. Di certo a me piacerebbe, sarei già contento se oggi riuscissi a misurare effettivamente dei passaggi (che qualcuno mi spiega), dentro questa composizione, di riappropriazione della capacità di determinare il cambiamento, del percorso, dei passaggi materiali di indirizzi nuovi. Se già questo mi fosse spiegato, io potrei dire sì. Ma secondo me, questa è la sensazione (e continuo a dirmi che spero e mi auguro che sia pessimistica), nello stesso tempo in cui si allargano i processi di valorizzazione dell'intelligenza sociale, del nuovo soggetto, del nuovo operaio sociale, in quel momento i meccanismi del controllo sociale, dentro e fuori la produzione, addirittura indipendentemente dal dentro o dal fuori la produzione, stanno subendo un processo di raffinazione, davvero come avviene con il petrolio, dando dei prodotti addirittura nuovi, completamente nuovi. Si tratta di prodotti che sono in grado, nonostante tutto (e questo è il pericolo principale che io vedo) di governare una moltitudine che mi sembra somigliare sempre di più a un grande cervello e laboratorio senza la capacità di darsi suoi centri di comando, come se fossero ancora esterni. E' una sorta di organismo sociale, di organismo biologico, che ancora ha un operatore esterno che lo fa funzionare; dunque, con le funzioni proprie del cervello, con la capacità di una discrezionalità, progettativa e via dicendo, ma con un'incapacità di essere organico, quindi di essere quello che il capitalismo era nelle sue origini, ossia la testa di un organismo complessivo, di cui il proletariato era le braccia. Oggi questa diffusione del modello neuronale a livello sociale, quindi dell'intelligenza sociale, mi sembra un'operazione che lascia comunque sempre fuori da questa intelligenza sociale la capacità della decisione, del comando, cioè la capacità di sintesi progettuale. C'è, e questo forse è il pericolo principale, un'intelligenza (o forse neanche tanto), comunque una capacità reale di impedire l'agglomerato, la ricomposizione, di impedire cioè che ci sia una materia organica, biologica, capace di riconoscersi come organica.

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