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INTERVISTA A FERRUCCIO DENDENA - 8 FEBBRAIO 2000

Ma non sarà più tanto distante dalla vecchia corporazione della scienza e della tecnica governata dal capitale: sarà parte integrante e articolazione, periferica o centrale, di un sistema scientifico e tecnico senza sapere di essere un ganglio, un neurone, un elemento che fa vivere un organismo nemico con ruoli vitali. Non è più un organismo di fibra muscolare da dedicare al lavoro ma di fibra neuronale, di ramificazione di un sistema nervoso capitalistico, di cui anche il proletariato sarà parte integrante e assolutamente fondamentale. Questa cosa è detta in maniera grossolana, ma non mi sembra tanto distante dallo scenario che poi in maniera articolata dovrà essere ricostruito o costruito dai compagni nel loro lavoro di ricerca. Mi pare davvero rappresentare bene lo scenario a cui andremo incontro, anche nel bene, cioè nel dire che le risorse e la ricchezza del soggetto sociale produttivo sono individuali e, insieme all'accessibilità delle risorse tecnologiche, nettamente più avanzate che nel passato, quindi con potenzialità enormemente maggiori. Deve essere però chiaro che questo non basta e faremmo un grave errore politico a sostenerlo per dire che si sono superati i problemi del conflitto, del lavoro, della soggettività: se così facessimo affideremmo ancora una volta ad un percorso oggettivo, e non soggettivo, il compito dell'acquisizione della coscienza di classe e, di conseguenza, dell'azione di rottura. Questa cosa qui è oggi al nostro interno il pericolo maggiore, il ritenere che proprio la contiguità con le stanze del potere, o addirittura la sua internità, da parte di soggetti che con esso nulla hanno a che fare o che non sono ancora suoi servi, di per sé basti perché avvenga la contaminazione e sia realizzabile la possibilità di dire la nostra in maniera determinante. Questo è il vero pericolo che noi abbiamo all'interno, cadere in tale errore che è di segno ideologico ma anche politico; sarebbe il pensare che il potere farà i conti esclusivamente con la nostra intelligenza e non anche con la nostra forza.


Negli ultimi anni il dibattito sul cosiddetto postfordismo, interpretato come svolta epocale, se da una parte ha visto chi si è arroccato nella difesa di figure e posizioni sconfitte, prima che dal capitale, dalle stesse lotte e capacità di rifiuto operaie, dall'altra ha assistito a chi ha fatto coincidere l'innovazione, che è propriamente capitalistica, con l'avanzare di forme di liberazione. Nell'ambivalenza di questo nuovo scenario, non pensi che o si controusa e sviluppa soggettivamente la faccia che va verso la liberazione, oppure a prevalere sarà il dominio capitalistico?

Sì, sono d'accordo. Io non sono preoccupato dalla sfida che il nuovo soggetto sociale produttivo può lanciare ai compagni, al soggetto politico, all'avanguardia: un ipotetico scenario in cui il soggetto sociale riesce ad auto-rappresentare se stesso e strumenti e percorsi organizzativi nello scontro con il potere, o nel suo incontro, costituisce una sfida che non mi coinvolge personalmente nel timore della perdita di un ruolo, perché noi non siamo burocrati del sindacato o di un partito che hanno paura di perdere la sedia. Noi siamo dei compagni che fino ad oggi ritengono ancora determinante il ruolo dell'avanguardia: dentro a quale forma di organizzazione o partito, se vogliamo esagerare, adeguata all'epoca moderna, ancora non lo sappiamo; ma crediamo ancora a questa cosa. Non sono però preoccupato dal dovermi svegliare una mattina e scoprire che la capacità di questi nuovi soggetti di far da sé nella gestione dei loro progetti, delle loro alleanze, riesca a liquidare la necessità del soggetto politico. Sarebbe come dire che noi siamo dispiaciuti del fatto che si possa pensare ad una società in cui non ci si spara addosso: ma dire questo e sostenere che per arrivare a quello forse non è così facile escludere che sia necessario spararsi addosso ce ne passa; lo vorremmo, non saremmo comunisti se non fosse così, ma la storia non ci ha insegnato questo. Ciò non vuol dire neanche che noi abbiamo paura di ritrovarci il sociale che veste gli abiti del politico e fa a meno del soggetto politico: temo però per i compagni, soprattutto per i più giovani, che dovranno faticare ancora molto in questo ruolo!

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