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INTERVISTA A FERRUCCIO DENDENA - 8 FEBBRAIO 2000

Tali questioni sono secondo me quelle che mantengono un filo di continuità fortissimo con il passato e che non hanno trovato una risposta significativa nei cicli di lotta degli anni '70 e '80, questo bisogna dirlo in maniera chiara: non è vero che la teoria del nuovo soggetto emergente dentro la crisi dell'operaio-massa abbia avuto negli anni '70 e '80 una prefigurazione significativa nel campo del conflitto. Quel movimento in certi momenti era molto grosso, ma non era il movimento della nuova composizione di classe: era quello della vecchia composizione e di una nuova inconsapevole, anche in larghe fasce delle sue avanguardie, della novità costituente che la caratterizzava. Era quindi un movimento molto magmatico, ricco di potenzialità e di opportunità, ma io non me la sentirei di dire che, anche se sicuramente non maturo, fosse caratterizzato dalla nuova composizione di classe in maniera così evidente; quando dico caratterizzato non mi riferisco solo alla composizione del movimento, intendo dire anche per il suo programma, per il suo progetto, per le esperienze di lotta fatte. Possiamo allora dire che le lotte dentro alle fabbriche, le lotte nei quartieri per i centri sociali, le lotte nel territorio sui servizi, avevano insieme una vecchia valenza da società fordista e una nuova valenza di ricomposizione e di affermazione di un nuovo terreno di scontro. Le lotte del decennio degli anni '70 non sono però, secondo me, riuscite a rappresentare effettivamente un percorso nuovo, ad essere oggi considerabili come le lotte di una composizione di classe proletaria e di un'avanguardia politica adeguate alla maturità della contraddizione. Questo non per distruggere completamente il significato positivo che ha avuto il movimento, ma secondo me per metterlo veramente nella dimensione reale in cui era: si trattava di un laboratorio del conflitto appena aperto, in cui la sperimentazione sul campo era stata avviata da poco, quindi con dentro tutti gli elementi capaci di aprire strade nuove che però sono tutte state stroncate alla nascita. Ciò che è rimasto sono i problemi, le contraddizioni, i soggetti che anche allora in qualche modo avevano cominciato a muoversi, una parte dei compagni che erano dentro a questo nuovo laboratorio del conflitto e che oggi lo vogliono continuare insieme ad altri compagni. Ma se continuità c'è e deve esserci, è questo tipo di continuità: tra un'avanguardia che stava facendo i conti con una composizione del capitale e della classe nuovi e che oggi fa invece i conti con un periodo non breve di buio assoluto nella sperimentazione reale del conflitto.
Secondo me, sempre con un peso proporzionalmente riadeguato, continuano a sopravvivere vecchie logiche della centralità operaia, con sempre meno forza rispetto agli anni '70, continuano a sopravvivere ancora culture della marginalità e della precarietà come ricerca del nuovo soggetto: continua quindi ad essere capito ancora poco che il nuovo proletariato, ed una sua parte importante, è nelle grosse multinazionali, nei grandi centri di ricerca, nei luoghi del comando della produzione. Quindi permangono grossi limiti di ragionamento teorico, che c'erano anche nel passato, e continuano a restare molto deboli e fragili i momenti di sperimentazione. Diciamola una volta per tutte: la fase della grande repressione i veri danni che ha fatto, al di là di quelli alle "vittime" (vittime colpevoli), che ci sono stati ma non così tragici, sono stati quelli che vediamo oggi; ha cioè innanzi tutto creato l'interruzione di un filo che era cominciato all'inizio degli anni '60 con le prime lotte del vecchio soggetto a Genova, Milano, Torino, operando quindi una cesura davvero forte. Ma oltre a questa cesura che c'è stata tra i vecchi soggetti, tra le vecchie avanguardie e i nuovi soggetti sociali, c'è stata anche la sconfitta di un percorso organizzativo. Non è stata solamente la sconfitta del soggetto politico, ma del movimento. E' stata una pacificazione, e tutte le pacificazioni sono molto lugubri, non avvengono mai con il consenso, sono sempre unilaterali: è stata una pacificazione senza riconciliazione sul fronte sociale, sul fronte politico poi si sono pentiti tutti. Non c'è stata riconciliazione tra la società ed il sistema di potere: la si cerca di conquistare oggi duramente da parte del capitale e dello Stato con operazioni culturali sofisticate, con operazioni molto raffinate di disciplinamento della società, ma è ancora di là da venire, e secondo me è, ancora una volta, molto più difficile che nel passato. Non basta e non basterà più dire: "Dividiamo diversamente la torta"; se non si riesce a far sentire tutti i cuochi, e quindi i protagonisti della costruzione della torta, qualcosa salta. Viene detto alla società: "Misurati col nuovo, noi abbatteremo tutti gli ostacoli che servono ad impedirgli di emergere".

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