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(pag. 8)

INTERVISTA A FERRUCCIO DENDENA - 8 FEBBRAIO 2000

Rispetto al passato c'è dunque stato uno sviluppo, dovuto al ruolo del capitale e ai processi di formazione (la scuola, la cultura sociale eccetera), di nuovi soggetti che mi sembra comincino ad avere una fisionomia un po' più chiara rispetto a quella che avevano negli anni passati. Negli anni '70 noi, che eravamo quelli che teorizzavano l'operaio sociale, facevamo fatica a spiegare ai nostri compagni e militanti che tale soggetto non è l'operaio della marginalità, cioè della periferia del ciclo produttivo, quello dei cicli deboli e poveri, ma è invece l'operaio più avanzato. Facevamo fatica a spiegarlo perché la visibilità di questi soggetti non era ancora grossa, il tecnico era sostanzialmente considerato un servo dei padroni; tale consapevolezza non c'era nemmeno in questi stessi soggetti, che ancora pensavano di essere l'aristocrazia. Oggi molte illusioni sono finite, molte speranze di affermazione di carriera si sono ridimensionate, ma questo non vuol dire che il fenomeno si sia arrestato, che ci sia stata una consapevolezza di massa e una presa di coscienza.


Sarebbe necessario approfondire e riflettere, nel mutatissimo contesto odierno, sulle difficoltà nel ricomporre e far interagire il livello della radicalità progettuale e d'avanguardia con quello della massificazione del conflitto.

Ci sono state tante esperienze e molto diversificate tra di loro. C'è comunque stata una cosa che è di tutta evidenza: l'autonomia del politico ad un certo punto è riemersa in maniera molto forte; nella forma più alta con le formazioni combattenti, in forme più basse anche nel ceto politico dirigente dell'Autonomia e del movimento in generale. Ancora una volta è riemerso questo brutto vizio della possibilità di una separazione tra il ruolo del politico e il movimento: ad un certo punto sembrava che la cosa più preoccupante fosse capire come parare i colpi delle organizzazioni combattenti, mantenere un'identità e nello stesso tempo giocare la carta di una guida alternativa del movimento, quasi come se questo ogni giorno esprimesse il bisogno di essere guidato da qualcun altro (cosa non vera, se al suo interno non si è legittimati). C'era una sorta di tenaglia tra questa competizione con le formazioni combattenti e la necessità invece di stare dentro al movimento, di fare i conti realmente con i processi di radicamento e di organizzazione di massa. Questa della fretta e dell'accelerazione è stata una cosa per cui non si può parlare solamente di superficialità: è stata il risultato di una serie di circostanze. L'innalzamento dello scontro da parte delle organizzazioni combattenti e di una parte dello Stato sicuramente è stato uno degli elementi che ha determinato tale accelerazione; ma dall'altra parte dobbiamo dire che anche noi siamo stati assolutamente incapaci di capire che aumentare di una marcia la velocità dell'azione anche del soggetto d'avanguardia poteva comportare un rischio enorme di girarsi e non trovare più nessuno dietro. Con questo non voglio fare un ragionamento gradualistico; se però si ha una teoria dello scontro che prevede comunque sul suo scenario la presenza di consistenti settori di classe, non si può non avere al loro interno un livello di legittimazione assolutamente forte. Anche da parte nostra c'è stato un errore di sopravvalutazione della speranza e della possibilità di vedere il movimento schierarsi e innalzare il livello dello scontro semplicemente perché la nostra rappresentazione di esso poteva avere una funzione propedeutica e didattica adeguata: questo non bastava, bisognava essere presenti e dedicare al percorso di organizzazione molto più tempo e molti più anni di quelli che sono stati dedicati. Oggi questo discorso vale ancora di più, c'è l'esperienza passata che ha raffinato anche gli strumenti di prevenzione dello Stato, che sono veramente a tutto campo. La repressione non è più sui cicli di lotta, la prevenzione è sulla capacità di anticipazione rispetto ad essi. Quindi si tratta di una prevenzione molto sofisticata, che ha anche un volto parecchio violento, ma non si tratta di una violenza dispiegata, visibile, come era quella delle migliaia di arresti: è una repressione molto più mirata, una capacità cioè di anticipare l'inizio di cicli di lotta, di bloccarli sul nascere; per fare questo non basta l'apparato repressivo tradizionale (che pure c'è ed è molto più attento e preparato di prima), ma è necessario un concorso molto più ampio di ruoli (del sindacato, dei partiti e via dicendo).

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