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INTERVISTA A FERRUCCIO DENDENA - 8 FEBBRAIO 2000

Se, per fare un balzo fino all'attualità, pensiamo al pretestuoso ragionamento del referendum radicale sul costo del lavoro, capiamo come oggi il tema del lavoro come variabile dipendente dalle regole economiche (quello che era stato detto e sancito anche in congressi importanti del sindacato, come quello dell'Eur) è un concetto che è ancora di grandissima attualità. Si sostiene che sia la fine delle rigidità che può servire a liberare il lavoro, che sia la fine dei vecchi meccanismi farraginosi di ultra-tutela e di arroccamento dei lavoratori dentro alle normative contrattuali e agli statuti vari quello che oggi crea le due società. Mi sembra di risentire ancora le teorie sulle due società, dei garantiti e dei non garantiti: si tratta dello stesso discorso, solo che ha fatto dei passi avanti notevoli. Oggi abbiamo istituzioni importanti come il sindacato e la sinistra istituzionale che, sulle questioni della flessibilità e della mobilità, hanno ormai preso una posizione netta: hanno ancora una preoccupazione, legata alla vecchia cultura, ma che mi sembra parta più dalla propria rappresentanza che dalla tutela dei lavoratori. In ogni caso, i concetti di flessibilità, di mobilità, di decentramento, di fine delle rigidità e via dicendo, costituiscono una battaglia in corso tutt'oggi, che non vede in campo forze impegnate adeguatamente. Questo nodo della ridefinizione del soggetto produttivo nuovo non si limita semplicemente ad una grande battaglia contro la rigidità del lavoro da parte del capitale: è un problema di nuova fisionomia, di una nuova antropologia del soggetto produttivo, in cui la valorizzazione del cervello, dell'intelligenza, della capacità di autonomia operativa sta diventando una questione fondamentale per il capitale. Si tratta di una ridefinizione davvero radicale del nuovo operaio della nuova fabbrica capitalistica: è quindi un problema che richiederà ancora del tempo e che sarà anche uno dei terreni fondamentali di scontro di classe in epoca moderna.
Come dicevo, non è solo un problema di rigidità ma di fisionomia generale di questo soggetto, di modellazione di un nuovo operaio per il capitale. Questo è un tema che ha caratterizzato gli anni '70. Attorno alla questione dell'operaio sociale noi avevamo alcuni elementi fondamentali di programma e anche di organizzazione: la nostra teoria dell'organizzazione era legata ad una lettura che facevamo della composizione di classe determinata che, già nella prima metà degli anni '70, vedeva un declino della centralità dell'operaio-massa. Si trattava di uno scontro notevole con altre formazioni politiche presenti sul fronte antagonista, non solo quelle più ortodosse, ma anche all'interno della stessa Autonomia. In ogni caso per noi l'operaio-massa come soggetto politico centrale era ormai un problema che il capitale aveva affrontato, già tra la fine degli anni '60 e l'inizio e degli anni '70, in maniera molto chiara e in una logica di liquidazione. Dicevamo già allora che attestarsi ancora su una posizione di centralità dell'operaio-massa era una logica resistenziale. Questo non ha voluto dire da parte nostra una capacità di giocare l'alternativa di una teoria dell'organizzazione veramente adeguata alla nuova composizione di classe, non ne siamo stati capaci. Ripeto che l'unica attenuante che do sono i tempi brevissimi della nostra esperienza. Fine delle attenuanti, poi ci sono gli errori: nostri, di altri, la capacità dello Stato di fermare un processo di movimento ampio e via dicendo. Ma in dieci anni, tra la prima metà degli anni '70 e i primi anni '80, non si poteva certo pensare di poter conseguire dei risultati significativi dal punto di vista della sedimentazione e del radicamento di un nuovo progetto. Quindi quel tema era ed è un tema di grande attualità. L'insegnamento di quegli anni è stato ed è che se non si è capaci di compiere quotidianamente una rottura di queste modificazioni nella composizione tecnica e nella composizione politica delle classi in campo (non solamente quella a cui noi facciamo riferimento, ma anche quella capitalistica), perdiamo di vista la fluidità e la dinamicità dei cambiamenti. Ciò fa diventare il cambiamento uno scenario ed un orizzonte completamente nuovo per alcuni, dove addirittura termina il conflitto di classe e finisce la sua necessità storica, mentre per altri invece continua a riproporsi nello stesso modo, addirittura con una centralità operaia tradizionale che, pur senza voler avere certezze, mi sembra davvero senza respiro e prospettiva. Tutto questo dal punto di vista di un grande elemento di continuità tra il passato ed il presente.

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