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INTERVISTA A FERRUCCIO DENDENA
(CON ALCUNI INTERVENTI DI PAOLO SCHIAVONE) - 24 GENNAIO 2000

Facciamo un esempio per capirsi. A cavallo del 7 aprile, proprio nei giorni dell'operazione di Calogero, ci fu un convegno nazionale sulle piccole fabbriche e il decentramento che per la prima volta cercò in maniera sistematica di costruire un punto di vista dell'Autonomia sui processi di polverizzazione della grande fabbrica: si cercava dunque di spiegare questa nuova figura produttiva sociale che rompeva la divisione schematica tra la produzione diretta delle merci e la riproduzione. Quel convegno fu fatto, nonostante l'operazione di Calogero, nei giorni immediatamente successivi: lo organizzammo qualche giorno prima del 7 aprile e lo facemmo lo stesso, anche se si può immaginare che clima ci fosse, e ricordo che fu uno dei momenti più importanti. Questo vuol dire che anche il contributo, teorico da una parte ma anche di esperienza politica dall'altra, dei territori extrametropolitani era importante. Non dimentichiamo che nei territori intorno a Milano, le province di Varese e di Como tanto per fare un esempio, si stava già sperimentando un livello di decentramento tecnologicamente avanzato sul modello del postfordismo e della fabbrica diffusa, del lavoro autonomo, della microunità produttiva, che è oggi più che legittimato. Quindi non eravamo lontani dalle contraddizioni fondamentali. Ma diciamo che Milano aveva le grandi fabbriche che stavano per essere attaccate duramente. L'Alfa Romeo, ad esempio, è qui ad Arese, alle porte di Milano, ed eravamo più vicini noi perché eravamo con i nostri collettivi a Caronno, proprio alla periferia dell'Alfa; però l'Alfa Romeo era Milano. E gli attacchi erano quelli alle grandi fabbriche metropolitane, come la Fiat a Torino. Tanto è vero che ricordo che agli inizi degli anni '80, quando ci fu la prima grande ondata di attacco alla Fiat, la nostra attenzione di coordinamenti di piccole fabbriche era tutta rivolta a quello che avveniva lì, eravamo costantemente su con i compagni di Torino a cercare di capire cosa stava succedendo e a lavorare insieme a loro sulla contraddizione che stava esplodendo alla Fiat. Successivamente ci fu quello che ci fu: i 35 licenziati accusati di terrorismo, poi la prima ondata dei licenziamenti di massa, la marcia dei 40.000 eccetera.
Non era una distanza, come si direbbe in America, tra la profonda provincia, quella agricola, rispetto a Manhattan. Era un hinterland molto ampio intorno alla metropoli, quanto meno fino alla bassa provincia di Varese, perché già l'alta provincia è diversa. Ma Milano allora, negli anni '70, era una città con un movimento forte: non era cioè necessario che una parte dei dirigenti o dei militanti più attivi si spostasse su Milano, perché aveva una soggettività ricchissima, semmai lavorava molto male, al punto che c'erano delle lacerazioni tra il gruppo dirigente e la base delle organizzazioni, anche e forse in particolare della nostra. Dopo la repressione, negli anni '80, il discorso di Milano ritornava ad essere molto più di prima centrale, bisognava ricostruire un tessuto di movimento in azione nella metropoli: era fondamentale allora e lo è oggi. Se oggi Milano e le grandi città riuscissero a rappresentare qualche percorso significativo avrebbero un ruolo fondamentale anche nella riproduzione di percorsi all'esterno delle metropoli. Avrebbe avuto poco senso in quel periodo rilanciare il coordinamento degli organismi autonomi delle province di Varese e di Como, mi veniva da ridere solamente a pensarci.

PAOLO: Tali organismi, anche per le caratteristiche che tu dipingevi, sono stati anche gli ultimi a chiudere tra le vecchie strutture di movimento. Le realtà che sono rimaste hanno poi chiuso per autoconsumazione. Rispetto a Milano, dove la repressione è stata devastante, nelle province di Varese e di Como le strutture hanno resistito all'ondata repressiva. Sono morte dopo, quando la soggettività politica non è più stata in grado di trovare motivazioni sufficientemente forti per continuare ad intervenire collettivamente. Erano rimaste tre "grosse" strutture nelle province di Varese e di Como. Uno era Il Selciato, un centro di documentazione a Busto Arsizio dove stavo io, con tutta un'area di intervento abbastanza vasta sulle cittadine intorno (Busto, Gallarate), ma c'erano anche piccoli paesi vicino dove c'era una presenza forte, come ad esempio Olgiate Olona, zona in cui da anni, addirittura da Potere Operaio, c'era una situazione politicamente consolidata. Poi c'era a Saronno il Collettivo Comunista Territoriale che aveva anch'esso un grosso intervento e portava avanti tutto questo ragionamento sulle piccole fabbriche. E infine c'era Olgiate Comasco con un altro collettivo e, prima dell'arresto di alcuni compagni, c'era anche lì una presenza forte e consistente in alcune fabbriche della zona. Queste tre strutture sono state le ultime a chiudere e lo hanno fatto dentro a questo meccanismo di autoconsumazione.

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