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INTERVISTA A FERRUCCIO DENDENA
(CON ALCUNI INTERVENTI DI PAOLO SCHIAVONE) - 24 GENNAIO 2000

Io che ho sempre detto nel mio passato politico che ha importanza chi parla, ma ha molta importanza chi parla e chi fa, ho passato degli anni in cui il mio ruolo era quello di chi soprattutto parlava, e quindi di chi contribuiva ad una ricucitura soggettiva: ma era necessario contestualmente far politica sulle città, sperimentare dei percorsi. E tutto questo richiedeva la presenza quotidiana (come io ho sempre concepito la politica) dentro alle contraddizioni metropolitane che erano e sono tuttora eccezionali dal punto di vista della potenzialità. Così non è stato. Il problema del reddito, della distanza, di un trasferimento reale della quotidianità sulle città, non è stato affrontato nella maniera più radicale possibile. In questo modo io non posso dire di avere incontrato ostacoli insuperabili. Ho incontrato ostacoli che si sono rivelati insuperabili rispetto alla mia soggettiva presenza sulla città, e anche alla presenza soggettiva di altri compagni. Questo fa sì che le carte siano state giocate solo parzialmente. Questo non vuol dire che la situazione poteva essere affrontata con esiti sicuramente più favorevoli. Dal momento che io sono sempre ottimista dico che essere lì, anche un compagno in più, in una città come Milano sarebbe stato determinante. Io non ci sono stato, con me non ci sono stati anche altri compagni, ma devo dire che personalmente avevo riscontrato una presenza di soggettività politica di alto livello dal punto di vista delle potenzialità, compagni che sarebbero stati tranquillamente capaci di sostenere una battaglia politica pubblica davanti a chiunque, al sindacato, al PCI, all'amministrazione comunale, davanti a chiunque avrebbero potuto sostenere un punto di vista politico in maniera chiara. C'erano dunque dei compagni davvero bravi. Gran parte di questi compagni, come me, non hanno giocato come potevano le loro carte soggettive: e questo fa sì che io continuo a dire che il ruolo della soggettività è determinante, ed è determinante anche quando non viene svolto, quindi nel bene e nel male, e che per quanto riguarda me in particolare avrebbe potuto essere giocato con una scommessa più alta e non semplicemente da ambito separato dalle contraddizioni reali, da ambito di discussione e basta. Io lo sapevo e lo dicevo anche ai compagni che il problema era di decidere dove stare. Per me è stata una decisione indiretta perché io ho semplicemente deciso di non stare a Milano, e ciò è stato abbastanza liquidatorio da questo punto di vista: devo dire che porto con me questa contraddizione e mi è dispiaciuto e mi dispiace tuttora. Perché alla fine della fiera il problema delle conseguenze della condanna, quindi dell'interdizione dai pubblici uffici e l'impossibilità di rientrare nella scuola a fare l'insegnante, che era il mio mestiere, il dover ricominciare da zero, è stato pesantissimo, una continuazione della pena sotto altra specie, come direbbe Clausewitz. Questa continuazione fuori dal carcere della pena è stata molto pesante perché non ero più ragazzino, ricominciare da zero fuori dalla scuola voleva dire pensare di avere vent'anni e invece ne avevo ben più di trenta, e quindi dovevo fare i conti con la mia materialità che si è risolta, come direbbe l'Aaster, nella "brillante scelta" del lavoro autonomo.


Negli anni '70 avevi politicamente seguito il territorio delle province di Varese e di Como. Come mai uscito dal carcere hai deciso di provare a intervenire politicamente a Milano, quindi sulla metropoli?

FERRUCCIO: Teniamo conto che negli anni '70 il movimento aveva una diffusione extrametropolitana notevole: quando noi scendevamo a Milano per le manifestazioni eravamo in centinaia. Ma nonostante il nostro lavoro di radicamento e legittimazione nel tessuto proletario della provincia, noi eravamo comunque consapevoli (e lo erano allo stesso modo anche ad esempio i compagni di Padova) che la forza delle periferie non poteva addirittura supplire alle debolezze metropolitane. Nessuno l'ha mai pensato, tanto è vero che la nostra preoccupazione costante era di riuscire a garantire che le città, e in particolare Milano per noi, fossero in grado di essere alla testa del movimento perché, non c'è niente da fare, comunque il livello delle contraddizioni dentro alla città era decisamente molto più avanzato che non fuori. Questo non vuol dire che fossero tanto diverse.

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