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INTERVISTA A FERRUCCIO DENDENA
(CON ALCUNI INTERVENTI DI PAOLO SCHIAVONE) - 24 GENNAIO 2000


FERRUCCIO: Comunque diciamo che il discorso del fare pulizia e del mantenere un'allerta elevata nei confronti non delle organizzazioni politiche che ormai non c'erano più, ma del soggetto politico che poteva ricostituire l'organizzazione, era una preoccupazione evidente. In parte lo è ancora oggi, forse molto meno, ma alla fine degli anni '80 era ancora altissima l'attenzione su queste cose: loro davano per scontato che compagni che potevano uscire dal carcere in posizione non di resa sicuramente avrebbero ripreso a far politica, quindi la preoccupazione esisteva. In confronto a quella che c'era all'inizio del decennio si trattava di una preoccupazione che si era già molto abbassata; ma non si erano raffinati, né da parte dei giudici né da parte dei partiti, neanche gli strumenti della politica, si mantenevano abbastanza rozzi, da mandati di cattura, da categorie giudiziarie più che da categorie politiche. Quindi si scivolava anche nel ridicolo, non diventava tragico con arresti come avveniva nel passato perché si fermavano alle comunicazioni giudiziarie, agli avvisi di garanzia, all'indagare per banda armata perché succedeva un certo episodio: intanto ti lasciavano sotto una spada di Damocle, che durava quel che durava in quanto se entro un anno o due non si procedeva veniva a cadere anche l'avviso di garanzia, però intanto rompevano le scatole, quindi controlli e via dicendo.

PAOLO: E' lo stesso periodo in cui vennero indagati per l'articolo 270 bis (associazione sovversiva) anche 12 compagni dei collettivi autonomi, cosa che poi è finita in nulla. Chiaramente il meccanismo di controllo che stava intorno a chi era uscito dal carcere veniva esteso automaticamente a tutti quelli con cui questi compagni erano in relazione dal punto di vista politico.

FERRUCCIO: Diciamo che in questo periodo invece è meno significativa la mia storia di militanza politica, perché è stato un momento, durato circa tre o quattro anni, in cui c'è stato soprattutto il tentativo insieme ad altri compagni di rimettere insieme soggetti. Quindi non si trattava di ricostruire strutture legittimate nel territorio dell'intervento, ma di rimettere insieme soggetti che discutessero di politica e che cercassero di ripensare un punto di vista di carattere generale. Ciò ovviamente senza dimenticare di riflettere su degli elementi di programma immediato: ma allora (e giustamente secondo me, come lo è ancora oggi) il problema grosso era ragionare sulla città, su Milano. Questo perché tutti eravamo consapevoli che Milano e la ripresa di iniziative significative sul territorio metropolitano diventavano fondamentali in questo Paese, quindi anche nei territori più periferici e sperduti. E' la centralità delle città: noi dicevamo Milano perché era quella più vicina a noi e anche perché costituiva un concentrato di contraddizioni probabilmente unico in Italia. Ma proprio lì secondo me c'è stato un problema di difficoltà soggettiva. Ci fu il fatto positivo che si era ripreso a discutere, a costruire dei punti di vista, anche a scrivere dei documenti, a fare degli interventi: io ricordo per esempio l'esperienza sulla guerra del Golfo che fu abbastanza significativa, in cui il gruppo di compagni con cui lavoravo e che erano più a contatto con il movimento, erano riusciti a essere motore e a costruire a Milano le scadenze più significative in quel periodo.


Politicamente da chi era composto questo gruppo di compagni?

FERRUCCIO: C'erano delle "cariatidi" come me, ma poche, e c'erano i compagni delle generazioni successive alla nostra, come Paolo, compagni che erano giovani quando partì la repressione: c'era una composizione abbastanza eterogenea di esperienza politica. Quindi questo nucleo di discussione era abbastanza interessante.

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